17 September 2013

I grandi amici di Topolino: Salvatore Accardo

Published on Topolino No. 1103, 16 January 1977
Pubblicato su Topolino No. 1103, 16 Gennaio 1977

I grandi amici di Topolino
Salvatore Accardo


Nella Vita di Paganini, che poco tempo fa abbiamo visto in televisione, vi erano due protagonisti. Uno, l'attore Tino Schirinzi, prestava al grande musicista genovese volto e voce; I'altro, il violinista Salvatore Accardo, il suo strumento e le sue prodigiose esecuzioni.
La scelta di Accardo come protagonista... invisibile dello sceneggiato è stata una scelta obbligata. Il nostro grande amico l'ha imposta, non certo con la forza della sua prestanza fisica, per altro notevole, quanto con quella della sua statura artistica, che lo colloca fra i più grandi interpreti mondiali della musica paganiniana.
Alto, massiccio, gioviale, Salvatore Accardo è, nel temperamento e nel fisico, esattamente l'opposto di quella immagine stereotipa secondo la quale i violinisti dovrebbero essere tutti magri, taciturni, consumati, nella carne e nell'anima, dal sacro fuoco dell'arte.


Nato musicista, come altri nascono avvocati o bottegai, Accardo è figlio di un incisore di corallo di Torre del Greco che, però, aveva la passione del violino. Alla sua attività di incisore alternava, infatti, quella di violinista dilettante.
Il nostro Salvatore respirò quindi, fin dai suoi primissimi anni, aria e violino, mangiò pane e violino, andò a dormire con le coltri addosso e i trilli del violino nelle orecchie. Ma non si contentò della parte di semplice ascoltatore di quelle suonate che costringevano la madre a tapparsi le orecchie per lo strazio (o per l'incompetenza); volle subito essere un protagonista, un esecutore; e appena fu in grado di parlare chiese di poter avere un violino tutto suo. E lo ebbe.
Oggi quel violino, un «sette ottavi», riposa tra i ricordi piu cari di casa Accardo a Torre del Greco, vicino a Napoli. Al suo posto, tra la spalla e la mano sinistra dell'ormai trentacinquenne Salvatore, si alternano oggi due preziosissimi strumenti del '700: uno Stradivari e un Guarnieri del Gesù. Come dire, saltando'alla pittura, un Leonardo e un Mantegna. Tanto preziosi, da non avere neppure prezzo.

Nato a Torre del Greco 35 anni fa, Salvatore Accardo s'è diplomato in violino al 
Conservatorio di San Pietro a Maiella a 15 anni. Appassionato sportivo, appena 
gli impegni glielo permettono, passa dal palcoscenico al campo di calcio. Ha
 fondato una squadra calcistica: «Amici della Musica».

Ma, ritornando al passato, Salvatore Accardo è stato quello che si chiama un fanciullo prodigio. La carriera dei fanciulli prodigio, di solito, non si spinge oltre la soglia dell'adolescenza (con qualche gloriosa eccezione: Mozart, per esempio). La carriera di Accardo ha superato di slancio il limite tradizionale: Salvatore è diventato quindi un ragazzo prodigio ed è, oggi, un uomo prodigio. Se la scala presentasse altri gradini, state pur certi che lui salirebbe anche quelli.
Diplomatosi violinista a soli quindici anni (con almeno un triennio di anticipo sul termine regolare degli studi), al Conservatorio di San Pietro a Maiella a Napoli, Salvatore Accardo strabilia «ufficialmente» da venti anni il mondo della musica, acclamato sia dal pubblico, sia dagli stessi suoi «colleghi». Di uno di questi, il celeberrimo Yehudi Menuhin, si racconta che, dopo averlo ascoltato suonare un Capriccio di Paganini, gli abbia buttato le braccia al collo, come avrebbe fatto con un... Niccolò redivivo.



Amante dello sport oltre che della musica, Accardo è sempre stato un ottimo nuotatore e, fino a qualche tempo fa, anche un ottimo tennista. Ha detto addio alla racchetta, sia pure a malincuore, per non togliere scioltezza al braccio destro, «riservato» principalmente al suo archetto di violinista.
Ma la sua grande passione (e la.., disperazione di sua madre, preoccupata dell'incolumità delle mani del figlio) è sempre stata il calcio. In tutti i suoi spostamenti, non dimentica mai di portarsi dietro, nella custodia del violino, oltre allo strumento, anche una foto della Juve, di cui è sfegatato tifoso, con le firme dei calciatori dedicate personalmente a lui.
Da ragazzo, Accardo giocava nella Turris, la squadra della sua citta natale. Oggi ha fondato invece una squadra tutta «sua», che si chiama Amici della musica, e che in una delle ultime partite ha segnato otto goal. La soddisfazione di Salvatore è stata grande: per lui, ogni rete segnata equivale a un concerto di Paganini eseguito alla perfezione davanti a un pubblico impazzito d'entusiasmo.
Walter Ricci

3 September 2013

I grandi amici di Topolino: Giacinto Facchetti

Published on Topolino No. 1065, 25 April 1976
Pubblicato su Topolino No. 1065, 25 Aprile 1976

I grandi amici di Topolino
Giacinto Facchetti


«Sono nato in una famiglia povera. Mio padre, Felice, faceva il ferroviere. Mia madre, Elvira, lavorava in casa. Eravamo sette in famiglia: papà, mamma, due fratelli e tre sorelle. Da ragazzo, appena avevo un momento di libertà, giocavo al calcio nella squadra dell'oratorio di Treviglio. Avevo sette anni. Solo più tardi, a scuola, cominciai a fare atletica leggera. Era mio padre, in bicicletta, a portarmi sui campi di gioco. Era stato calciatore ai tempi della prima guerra mondiale. Giocava nella squadra del ferrovieri, anche lui come terzino sinistro, Era terribile negli scontri con gli avversari: I'avevano soprannominato "ammazzacristiani". Era inflessibile, intransigente (era lui che mi sceglieva i compagni di gioco), onesto e disciplinato. Se io ho alcune buone qualità, penso proprio di averle ereditate da lui. La mamma mi ha trasmesso invece la generosità.»
Cosi, in maniera semplice e puntuale, Giacinto Facchetti, terzino sinistro dell'Inter e capitano della Nazionale, parla di se stesso, della sua infanzia. Tutta la sua vita è stata praticamente dedicata allo sport. Non soltanto al calcio, ma anche all'atletica leggera, alla pallavolo, alla pallacanestro e al rugby. La sua specializzazlone in atletica erano i 100 metri piani. Ma Facchetti ha corso anche i 400 piani e gli 800; ha fatto salto in alto, in lungo, e staffette veloci.

 Facchetti al raduno collegiale di calcio, svoltosi a Coverciano 
nel giugno '74.

E senz'altro all'atletica leggera coltivata da ragazzo deve lo sviluppo del suo fisico formidabile, di cui ha saputo fare uno strumento agonistico eccezionale. Dopo aver giocato in campionato promozione con la Trevigliese (a Treviglio è nato il 18 luglio 1942), nell'anno '57-'58, Giacinto fu notato dall'Inter, e subito acquistato. In serie A, sempre con l'Inter, ha esordito esattamente il 21 maggio 1961. Da allora, non ha più lasciato la squadra nerazzurra, con la quale ha vinto quattro scudetti, due Coppe dei Campioni, e due Coppe Intercontinentali. Facchetti detiene anche il record delle presenze in Nazionale. Della squadra azzurra è capitano dal 1966. E, ogni volta che viene formata una squadra «mondiale» con la partecipazione dei migliori calciatori, egli non viene mai dimenticato.

Città del Messico, 1970: Facchetti firma un autografo per un tifoso, e, in campo, 
con la fascia di capitano della Nazionale.

Forse, dal punto di vista della popolarità, molti calciatori sono più «seguiti» di lui. Ma questo dipende soprattutto dal fatto che, fuori dei campi di gioco, Facchetti, diversamente da tanti altri, non ha mai fatto parlare di sé. Quello che è certo, in ogni caso, è che nel nostro Giacinto troviamo un atleta completo sotto tutti i punti di vista. In più, attorno a lui gravita la leggenda del «terzino che fa i gol».
Ma come e nato, appunto, questo «personaggio»? Sentiamolo dal diretto interessato. «È nato, forse
senza saperlo, a Treviglio, quando a 10-11 anni facevo il giocatore-allenatore-massaggiatore-presidente-difensore-attaccante del "Rapid" e delle "Schiere Azzurre". Per un giovane di quell'età, io ero il più alto di tutti. In partita cominciavo a giocare come terzino. Poi, quando le cose si mettevano male, andavo all'attacco per fare gol e rimediare allo svantaggio. E in quel periodo, in quei momenti, su quei campi che nacque "il terzino che segna". Ho sempre voluto trovarmi dov'era la palla. Avanti o indietro che fosse, io volevo prendere parte al gioco.»

 Un intervento di Facchetti durante un incontro Inter-Atalanta.
  Il terzino-goleador ha 34 anni.

Sincero, affabile, dotato di una grande sensibilità, Facchetti sa infondere nei compagni di squadra, sia essa l'Inter o la Nazionale, una grande forza convincente e trascinatrice. Perché è il primo lui a credere nella serietà dello sport. Nel 1971, è stato premiato come giocatore esemplare per la sua correttezza. «A farmi così», dice, «sono stati gli anni in cui giocavo all'oratorio. Là si giocava per giocare, non per fare del male all'avversario o per insultarlo. Ancora adesso, quando scendo in campo, io gioco con lo stesso spirito. In questo mio comportamento c'è pero anche l'influenza dell'atletica leggera: uno sport dove, inevitabilmente, vince sempre il più forte. Se in campo il mio avversario è più abile di me, perché ricorrere a sistemi di forza per avere ragione di lui?»
In questo elogio della lealtà c'è tutto il «personaggio» Facchetti. Un personaggio le cui principali caratteristiche sono la gentilezza e la forza: esattamente le qualità simboleggiate dal giacinto, il fiore al quale il nostro valoroso terzino ha «rubato» il nome.    
Nicolò Carosio

17 August 2013

Trix ha fatto Patatrac

Published on Topolino No. 1365, 24 January 1982
Pubblicato su Topolino No. 1365, 24 Gennaio 1982


Trix ha fatto Patatrac


Uno, due... Trix. Appena arrivate sugli schermi italiani, è stato subito successo. Sono le tre gemelle di Patatrac, la trasmissione di Boncompagni in onda sulla Rete 2 alla domenica sera. Argentine, 22 anni, nate sotto it segno del Cancro, Maria Emilia, Maria Eugenia e Maria Laura Fernandez Rousse sono identiche fra loro come tre gocce d'acqua. A chi chiede loro come fare per riconoscerle, rispondono che è semplicissimo: "Io sono romantica, lei è aggressiva e lei timida..."


Già note all'estero da alcuni anni, le Trix hanno avuto un padrino d'eccezione: Julio Iglesias, che le ha volute con sé in una tournée attorno al mondo. In Italia hanno inciso due dischi: la sigla di Patatrac, trasmissione che le ha fatte conoscere al pubblico italiano, e "C' est la vie". Un nuovo disco uscirà a giorni.


In Patatrac, le Trix rappresentano le "note musicali" della trasmissione condotta da Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e Luciana Turina. Tre note musicali che, però, non disdegnano di uscire dal pentagramma per ballare, ridere e scherzare con i partner della trasmissione. Tre note graziose che in poche settimane hanno conquistato tanti fans, da aggiungere a quelli già esistenti in tutto il mondo e soprattutto in Spagna e Argentina.

9 August 2013

Il personaggio: Michael Schumacher

Published on Autosprint No. 7/1992, 11-17 February 1992
Pubblicato su Autosprint No. 7/1992, 11-17 Febbraio 1992

Il personaggio: Michael Schumacher
A tutta birra
 Lo paragonano al primo Senna, ma lui ci va piano... Poi, tra i ricordi della pista di kart dove è cresciuto, l'uomo su cui la Sauber punta tutto per il suo programma F.1 nel '93 si sbottona e annuncia il suo credo: andare sempre al limite


MAHNEIM - A vederlo gironzolare per la pista di kart di Manheim, quattro case emergenti dalle nebbie che avvolgono la campagna ultrapiatta attorno a Colonia, lo si direbbe un ragazzo qualsiasi che nel tempo libero si diverte a fare qualche sbandata con il sedere a dieci centimetri da terra. Poi lo segui più attentamente: apre con le chiavi il piccolo bar a lato pista; va verso una baracca sul retro dalla quale fa uscire un cane nero che non vedeva l'ora di correre nei campi gelati; manovra con perizia i tanti kart di ogni tipo accatastati in un garage improvvisato. Sarà il figlio del gestore della pista, pensi. A pochi verrebbe in mente che questo giovanotto in jeans e giubbotto di pelle sia il pilota di Formula 1 più osservato del momento, quello che la Benetton stringe a sé come un tesoro e che la Sauber (ma sarebbe forse meglio dire la Mercedes) ha già indicato come suo pilota numero uno per i Gran Premi nei quali debutterà il prossimo anno. Siamo venuti in questo angolo di Germania, a pochi chilometri da Belgio e Olanda, per scoprire come sia nell'intimità di casa sua questo giovanotto che negli ultimi sei Gp del '91 ha fatto scomodare miti ormai polverosi come il giovane Senna o addirittura il Villeneuve (ma senza i suoi indimenticabili voli) degli inizi in Ferrari. Dove trae l'energia e l'ispirazione, questo Schumacher, per andare sempre cosi forte, in modo naturale, con il sorriso sulle labbra?
«Penso che molta gente sia entusiasta perché nel '91 ho fatto un buon lavoro - Michael mette subito le mani avanti - ma vorrei non si dimenticasse che quest'anno la situazione sarà diversa. Ci si aspetta da me di più di quanto ho fatto vedere lo scorso anno, ma ciò e sbagliato. Quest'anno in pista ci saranno nuove realtà, come la Ligier-Renault o la Dallara con motore Ferrari: non sappiamo come andranno, non sappiamo come andremo noi con la Benetton. Mi piacerebbe dire: nel '91 ho fatto quattro punti in sei gare, quest'anno ne farò di più. Ma non posso nemmeno pensarlo: spero di concludere tanti Gp».
- Resta il fatto che tutti, nell'ambiente, sono rimasti sorpresi da quanto veloce, subito e costantemente, tu sia andato. «Si - ribatte subito, senza un piccolo dubbio - nessuno, nemmeno io, poteva aspettarsi certe prestazioni. Ma non dimentichiamo che ho fatto solo sei gare, ne ho finite solo tre: non ho tanta esperienza e finirò per fare qualche errore. Penso sia inevitabile: ho 23 anni a devo imparare. Guarda il caso di Alesi: nel 1990 fece grandi cose e per it '91 si pretendeva the fosse più veloce di Prost. Ciò non è successo, anche se Jean ha ugualmente fatto un ottimo lavoro».

La visita d'obbligo alla pista di kart dove Michael ha mosso i primi passi 
come pilota; nel karting, Schumacher è stato «solo» vicecampione mondiale, 
ma lo considera una disciplina molto formativa per un aspirante pilota F.1

 - Eri cosciente di quanta attenzione ci fosse su di te?
«Sì, ma non mi dava fastidio. Ho sempre guidato senza avvertire pressione su di me. Beh, forse ero un po' nervoso al via in Giappone, dopo l'incidente in prova che mi aveva causato male a un braccio. Ma per il resto ero tranquillo. E lo sono anche adesso, anche se so che forse la pressione si farà sentire, un giorno o l'altro. Mi fa paura la gente che si aspetta troppo da me, non vorrei deluderla».
- Ti reputi un pilota instintivamente super-veloce?
«So che ogni volta che sono in pista penso che potrei andare più veloce - anche questa volta nessun dubbio, nessuna pausa di riflessione: tedesco fino in fondo questo Schumacher... - Ma è un fatto tecnico: spesso la vettura non consente di raggiungere il tuo limite personale. Solitamente vado in pista e faccio il mio giro: raramente mi fermo a riflettere sul giro precedente, sugli errori che magari ho fatto pensando poi a come correggerli. Esco dai box e via: è un fatto naturale».
- Non ti sei mai trovato in difficoltà?
«Beh, al primo test con la Jordan prima del mio debutto in Belgio. Quei primi tre giri a Silverstone furono pazzeschi: con tutte quelle vibrazioni, i freni così potenti, tutto così veloce... Non ci ero abituato. Pensai: la F.1 è proprio dura. Poi mi fermai ai box, parlai con i tecnici, mi rimisi un po' dalla sorpresa e tornai in pista: al quindicesimo giro segnai il miglior tempo e da lì in poi restai sempre su un buon livello. A Spa non ricordo un giro (in prova, perché la mia gara finì ben presto) in cui mi sia mai trovato in difficoltà, anche per un attimo. Tutto era così facile...».

I trofei sugli scaffali sembrano tanti, ma sono solo una piccola parte di 
quelli che ha vinto..

- Ma il Schumacher più eccitante arrivò tre Gran Premi dopo, in quei primi giri sgomitando con Senna e Mansell in Spagna...
«Sì, ma ancora non ero al limite. Quella fu una situazione anomala, perché fui molto aiutato dalle gomme. Le Pirelli della mia Benetton erano perfette, quel giorno, sull asfalto umido dei primi giri. Mentre le Goodyear in quelle condizioni ebbero bisogno di parecchi giri per adattarsi bene, io con le Pirelli potei subito fare qualsiasi cosa. Ecco perché andai così forte: merito dei pneumatici, anche se poi presto si deteriorarono e dovetti abbassare il mio ritmo».
- Qual è il tuo stile preferito di guida?
«Una guida pulita, senza dubbio. In questo mi ha insegnato tantissimo il Gruppo C, dove bisogna risparmiare il carburante, le gomme. Dopo la mia prima esperienza in Gr. C, ricordo che tornai in F. 3 e mi trovai molto, molto migliorato. Penso che la formula sia semplice: bisogna andare al cento per cento, e il tempo viene fuori. Si può anche andare al centodieci per cento, a volte. Ma equivale ad andare al novanta per cento: prima o poi ti trovi sempre a dovere rimediare a qualche piccolo errore, a una imperfezione, ed ecco che hai gettato via il piccolo vantaggio che ti eri procurato magari con una staccata da crepacuore. Una volta sentii Gerhard Berger dichiarare, in una intervista, che la sua vettura era in quel caso più veloce di quanto il suo limite di pilota gli consentisse. A me non è mai successo».



 - Hai da poco compiuto 23 anni (Schumacher è nato il 3 gennaio 1969, ndr) e sei sulla cresta dell'onda, al massimo livello. Quando hai iniziato a pensare a un possibile futuro in F.1?
«La prima volta che ci pensai fu nel 1989. La Ons (l'ente automobilistico tedesco, ndr) mise in palio un test con la Zakspeed F.1 per il pilota che avesse vinto Zeltweg F.3. Vinsi io. Ma poi non se ne fece nulla: evidentemente Zakowski aveva a quel tempo altri problemi cui pensare... Prima di allora, ho praticamente sempre pensato solo al karting, la mia passione di sempre dato che iniziai a correrci quando avevo 4 anni».
- Come iniziò questa passione?
«Mio padre amava trafficare con la meccanica, con l'ambiente delle corse, e a quei tempi preparava qualche kart con motore motociclistico per ragazzini. Iniziai così: andavo fortissimo perché ero piccolino, pesavo meno dei miei avversari. A sei anni ero già campione di club. Mi divertii fino agli undici anni, fino al 1980. Poi finirono i soldi e mio padre non poté più permettersi di farmi correre. Lì iniziarono i miei colpi di fortuna. Gerhard Noack, proprietario del kart-shop che c'è in questo kartodromo, prima acquistò il mio kart, poi vedendomi triste ce lo rivendette a metà prezzo. Mio padre gli disse che comunque non sapeva come fare a portarmi in giro sui kartodromi della Germania, e Noack si propose di seguirmi lui: pagava e mi assisteva il kart. Insieme vincemmo un sacco di gare. Poi arrivò un altro sponsor: Jurgen Dilk, una delle persone piu importanti della mia vita. Iniziò a seguirmi facendomi correre: lui si accontentava di tenere i trofei che vincevo. In tutto, nel karting, ne avrò conquistati 400: me ne sono rimasti pochissimi. Dilk iniziò a seguirmi nel 1983 e arrivò a presentarmi ad Adolf Neubert, che era l'importatore per la Germania della Kali Kart. Anche Neubert mi fece correre gratis: arrivarono un sacco di vittorie, titoli nazionali e uno europeo, più uno di vice campione del mondo».
- Quando ci fu il passaggio alle monoposto?
«Nel 1987 mi proposero un test di Formula Ford: io accettai, perché no? Provai in dicembre a Hockenheim e dopo due ore di test segnai 1'12"9. Il proprietario del team disse che non era niente male. Era stato vicecampione europeo e volle scendere in pista lui: fece 1'14"5. Scese dalla macchina e mi fece firmare un contratto per la stagione '88. Ma c'erano comunque da pagare 25.000 marchi, che io non avevo. Per fortuna Dilk disse: pogo io, se poi troviamo uno sponsor li recupero. Feci la stagione e arrivai quarto nel nazionale e secondo nell'europeo».


- Da lì alla Formula 3 come andò?
«Allo stesso modo. Willy Weber (attuale manager di Schumacher, ndr), mi propose un test in F.3. Andammo al Nürburgring in agosto e il test andò benissimo, con una Reynard '87, quella guidata da Franz Hexler, uscii e al primo giro sul nuovo tracciato feci 1'42" e qualcosa, quando il record di Hexler era quel giorno di 1'41"5. Al quindicesimo giro feci segnare 1'39"5. Ma devo ricordare una cosa: Hexler era un fornaio, aveva lavorato tutta la notte e quindi aveva guidato per tre ore verso il Nürburgring: in quelle condizioni come poteva andare veloce? Comunque Weber mi fece subito firmare un contratto per due stagioni, 1989 e '90, con il team Wts di Formula 3. Arrivai terzo in campionato tedesco il primo anno, poi lo vinsi alla stagione successiva».
- Poi la Mercedes Gr. C, quindi, nel '91, la Formula 1...
«Sì: Neerpasch voleva farmi fare una esperienza di Formula 1 e Jordan ci propose di guidare in Belgio la monoposto del povero Gachot che era finito in carcere. Poi arrivò la Benetton. Il resto lo sanno tutti».
- Ma resti un pilota Mercedes, nonostante un contratto con la Benetton. Ora come andranno le cose? (Questa intervista è stata effettuata lunedi 3 febbraio, cioè un giorno prima dell'annuncio Sauber circa il suo arrivo in F. 1 nel 1993).
«È vero: il mio contratto con la Benetton è fino al 1995, ma la Sauber può riscattarmi. Non potrebbe farlo quest anno, ma dal 1993 in poi, sì. E comunque - il tono è quantomai risoluto - l'ultima parola resta mia: sarò io a decidere con chi gareggiare e quando».
- Tuo fratello corre in kart. Ha dimostrato di andare forte anche lui?
«Sì, Rolf ha solo 16 anni ma sul circuito di casa - quello dove la madre Elizabeth gestisce il bar, ndr - è già più veloce di me. Ma voglio che faccia almeno un'altra stagione piena nel karting: è questa la specialità più formativa per un futuro pilota. Dopo tanti e tanti anni di karting, ora mai, dico mai, mi trovo in alcuna condizione di difficoltà in pista. Bisognerebbe fare di più per il karting».

 Schumacher impegnato con la Benetton nella stagione del suo sorprendente debutto 

- Le corse non hanno mai danneggiato la tua vita di studente?
«Beh, in realtà ho sempre pensato solo al kart e alle corse. Dopo le scuole medie, a sedici anni, ho fatto un corso meccanico di due anni che mi avrebbe permesso, se non avessi potuto continuare a gareggiare, almeno di lavorare sui motori».
- Com'è la tua vita qui a Kerpen?
«Perfetta: questo è l'unico posto dove sto veramente bene, dove riesco a ricaricare le batterie dopo tanti giorni di trasferta in giro per il mondo. Non faccio nulla di particolare: frequento gli amici di sempre, vado in bicicletta per tenermi in allenamento, dato che non posso fare jogging perche ho qualche problema alle ginocchia. Poi qui sto con la mia ragazza».
- Come si chiama? Non la si è mai vista ai Gran Premi...
«Hhmm, non importa come si chiama. No, non è mai venuta in pista perché ci sto insieme da tre mesi, da dopo l'ultimo Gp».
- Ti vuoi sposare presto, e magari avere dei figli?
«Ah ah - clamoroso: prima risata - non sono stupido. Se vuoi bene a una persona ciò non
rende obbligatorio il matrimonio. Poi non farei mai figli prima di avere finito con le corse».

- Cioè quando? Dopo quanti titoli di campione del mondo?
«Beh, sono contento che la pensiate così. Ma preferisco non pensarci, quantomeno per scaramanzia: nel karting il mio obiettivo era un titolo iridato e non ci sono riuscito, solo un secondo posto. Stavolta non voglio rischiare».

Michael Schumacher nella sua Mercedes (ovviamente... ) 
con la cagnetta Sally

 - È vero che la Ferrari ha tentato di affiancarti ad Alesi quest'anno?
«Non è vero. Da metà dicembre in poi sono stato in vacanza e quando sono tornato Weber mi ha detto che qui era scoppiato un putiferio: la Ferrari mi voleva, la Williams mi voleva, la McLaren mi voleva, la stampa era agitata... Beh, non so con la Benetton, ma con me o con it mio manager la Ferrari non si è mai fatta sentire. E così la Williams e la McLaren. Magari è vero che mi vorrebbero, ma certo non prima del prossimo anno. Io ero in vacanza alle Seychelles, sull'isola di Mahè, con la mia ragazza: ero arrabbiatissimo perché pioveva sempre, tanto forte da non potere uscire dall'hotel eccetto gli ultimi quattro giorni. Da lì in poi il tempo è stato eccezionale e abbiamo potuto andare al mare, fare immersioni. Soprattutto non pensare neppure un attimo alla Formula 1...»
Roberto Boccafogli  
(fotografieErcoleColombo)

Nel suo palmares manca la F.3000
Non vince solo dove... non corre!
Tre momenti della carriera di Schumacher: nella foto a sinistra è in F.3, categoria nella quale vinse nel '90 il titolo tedesco; al centro sulla Mercedes GrC, che nel '94 ha diviso con Wendlinger dopo l'apprendistato con gli «anziani» fatto l'anno prima; a destra è sulla Jordan che lo ha visto debuttare in F.1 a Spa (fotoAction/Orsi)

 Qual è il momento più difficile nella carriera di un «fenomeno»? Sicuramente la seconda stagione, quella nella quale deve confermare le buone cose fatte vedere al debutto. Ma per Michael Schumacher, classe 1969, nativo di Hürt-Hermülheim in Germania, il successo non è arrivato solo con la F.1. L'unica categoria che non lo ha visto brillare (ma solo perché l'ha saltata a piedi pari... ) è la F.3000: per il resto, il giovane Michael ha sempre saputo imporsi. Dai kart, nei quali iniziò a correre da bambino per arrivare a 14 anni a laurearsi campione tedesco Junior, per poi divenire vicecampione mondiale l'anno dopo e vincere i titoli nazionale ed europeo nell'87; alle formule minori, che lo hanno visto imporsi nel campionato F.Koenig tedesco (1988) e arrivare secondo nell'europeo F.Ford; per passare poi alla difficile F.3 del suo paese d'origine, dove nell'89 e nel '90 si è scontrato con gente del calibro di Frentzen e Wendlinger, facendosi superare sul filo di lana da quest'ultimo nel primo anno ma vincendo poi alla grande il titolo la stagione successiva. In contemporanea, quasi a voler bruciare tutte le tappe, c'è l'esperienza maturata con lo Junior team Mercedes in Gruppo C: una stagione a fianco del «vecchio» Jochen Mass per apprendere i trucchi del mestiere e poi via, nel '91, in coppia con Karl Wendlinger, un equipaggio di giovanissimi che ha avuto la soddisfazione della vittoria di Autopolis, l'unica per le Stelle d'Argento l'anno scorso. A coronare il tutto, ovviamente, arriva la Formula 1, quasi un passaggio obbligato: prima il Gp di Spa-Francoforchamps con la Jordan, al posto di Gachot (gara conclusa quasi subito); poi, la complessa vicenda che l'ha portato in Benetton. E adesso, un'altra stagione con il team angloveneto ma con la figura della Sauber, «orfana» della Mercedes ma non dei finanziamenti stanziati in precedenza, che si staglia già per il '93.

7 August 2013

Il personaggio: Nigel Mansell

Published on Autosprint No. 8/1992, 18-24 February 1992
Pubblicato su Autosprint No. 8/1992, 18-24 Febbraio 1992

Il personaggio: Nigel Mansell
Bocca di fuoco
  La lunga pausa invernale non gli ha tolto la voglia di vincere. E neanche quella di parlare a ruota libera di sé e degli avversari senza risparmiare le sue bordate su certi episodi...


DIDCOT - «È la prima volta in dieci anni che riesco a vivere come un essere umano»: Il Mansell che, rilasato e disteso, parla a ruota libera di se stesso, del mondiale alle porte e degli episodi più controversi di quello passato, somiglia appena all'uomo nervoso e tirato dell'autunno scorso, quando dava la caccia alle residue speranze di agguantare un titolo sfuggitogli per troppe volte. Il lungo periodo di riposo, la possibilità di starsene finalmente in pace, con la sua famiglia, nella casa che ha comprato in America, il caldo e il sole della Florida gli hanno ricaricato le batterie: «La cosa più bella, per me e per i miei, di vivere negli Usa è che quasi nessuno ci riconosce. Posso andare da McDonald's con i bambini, fare la spesa, persino andarmene a Disneyworld. Cose che non potevo fare nemmeno sull'isola di Man... Ma devo dire che la casa è solo per l'inverno; ora forse riuscirò a passarci qualche giorno prima di Kyalami e del Gp Messico. Comunque ho trovato un nuovo modo di vita, una fame di vivere, un appetito per tante cose, che prima non avevo». L'appetito, in effetti, non sembra essergli mancato: Frank Williams insiste perché perda qualche chilo prima del mondiale... «Ma no, sono più in forma di quanto non sia mai stato prima di un Gran Premio. Con il tempo che c'è in Florida sono riuscito ad andare in bicicletta, ad allenarmi, a giocare a golf. E anche a mangiare le cose giuste. Non peso più dell'anno scorso, anzi forse nello stesso periodo ero quasi due chili più grasso. E non dimenticate che per anni sono stato il più pesante dei piloti di F.1, per cui è uno svantaggio che ho sempre dovuto affrontare». Uno svantaggio che non gli ha impedito di stracciare il'record dell'Estoril nei test di febbraio, con la Williams Fw14 equipaggiata di sospensioni attive. Come va il suo affiatamento con questo sistema? «La sospensione provata in Portogallo utilizza una tecnologia completamente nuova, che si è mostrata promettente. Sono cambiati parametri, così come uno dei computer di controllo, e di conseguenza anche il comportamento della monoposto è differente. Purtroppo non è ancora possibile sdoppiare tutti i circuiti per garantire maggior sicurezza in caso di guasto».
- E la frizione a comando automatico?
«La macchina monta ancora il pedale sinistro, ma l'obiettivo finale è la sua eliminazione. Al momento è possibile utilizzare il sistema tradizionale oppure no, ma il comando automatico è molto interessante ed evita di sbagliare una partenza. Farà comodo a Riccardo...».

- Come pensi che sarà la situazione in qualifica, con la scomparsa delle gomme da tempo?
«In alcuni circuiti penso che sarà molto dura. A Budapest, per esempio, così come a Montecarlo e a Imola. Con le gomme a mescola dura sarà possibile effettuare molti giri con ogni treno, e avremo un sacco di traffico in pista. Difficile fare il tempo, e anche pericoloso».

- Come andranno le cose fra te e Patrese? Avrete lo stesso materiale?   
«Non ci saranno ordini di scuderia, così come l'anno scorso. La Williams è uno dei pochi team a comportarsi in maniera onesta con i suoi piloti. Così, anche se sarò io ad avere due vetture disponibili a gara, lui può stare sicuro che la sua sarà altrettanto buona. È un riconoscimento al suo talento».


Mansell sulla Fw14

 - A parte Riccardo, c'è chi ti aiuta nel programma di test?
«Si: Damon Hill, il nostro collaudatore, sta facendo un lavoro magnifico: non avevo mai capito quanto fosse dedito al suo compito finché non abbiamo provato insieme. Mi auguro di vederlo presto in gara nel mondiale con la Williams, magari l'anno prossimo; il suo unico problema, poveretto, sono i piedi troppo grandi. Mi sa che li ha presi da suo padre...».
- Che squadra temi di più per il prossimo campionato?
«Al solito, vedo favorita la McLaren-Honda; ma tutti i top team dovranno lavorare molto sull'affidabilità, pensare a fare punti nelle prime gare».    
- E il pilota che ti darà più filo da torcere?
«Lo sappiamo tutti chi è:, c'è un solo pilota - che può avvicinarsi al limite quanto me, ed è Ayrton Senna. Non vorrei essere frainteso, ma credo di essere l'unico che può impegnarlo fino in fondo: l'abbiamo dimostrato in molte occasioni l'anno scorso. La sua abilità? Non sta a me giudicare, non è corretto per un pilota dire ciò che pensa di un collega. Una delle cose che sento dire riguardo a me e lui è che io devo lavorare sul mio stile di guida, che non ho la naturalezza di Ayrton. Beh, io dico questo: se a not piloti non venisse istintivo fare le cose che facciamo, non riusciremmo ad andare veloci». 
- Sei rimasto impressionato dal record di Prost al Ricard?
«No. C'erano quindici gradi in più rispetto a quando aveva girato Patrese. Se non si gira in condizioni di temperatura e di pista identiche, i tempi non significano niente. Per quanto ne so, Prost e la Ligier sono ancora lontani, e infatti quando Alain ha girato assieme a Riccardo era circa un secondo e mezzo piu lento. I tempi che ha fatto dopo vanno bene per dar qualcosa da scrivere a voi giornalisti...».
- Se Prost guiderà effettivamente la Ligier, c'è rischio che la Renault dedichi più attenzione a loro che a voi?
«Il nostro rapporto, di squadra e mio personale, con la Renault è ottimo, e migliora costantemente. Sono lieto di dire che i motori per la Ligier saranno costruiti in un'altra fabbrica, per cui tutt'al più lo sviluppo sarà anche piu rapido».
- E della situazione attuale di Prost che cosa pensi? Se lui e Piquet dovessero effettivamente restare fuori dalla F.1...
«Non posso dire niente di Prost. Ha giocato per un sacco di tempo con tutto il mondo, con la stampa e con i suoi fans. Aspetto di vedere come andranno le cose. Non sta a me neanche atteggiarmi a giudice e fare commenti se un tre volte campione del mondo resta fuori dall elenco degli iscritti. Ogni professionista dovrebbe essere responsabile delle sue azioni; forse arriva per tutti un periodo nel quale bisogna decidere di ritirarsi. Ma non voglio dire che sia il caso di Prost e Piquet adesso. Per quanto mi riguarda, non ci voglio neanche pensare, non mi interessa. Voglio solo pensare a vincere almeno il titolo Costruttori insieme con Riccardo e spero di vincere anche il mondiale piloti. E credetemi, concentrarsi su questo richiede molte, moltissime energie».
- Dopo tanti anni, quanto conta ancora per te il fatto di diventare campione?
«Con ventuno vittorie nei Gp e tre secondi posti nel mondiale, dovrei essere soddisfatto. Ma la mia risposta è che il titolo iridato conta ancora per me come per qualsiasi altro pilota. E se guardate indietro nel tempo, vedrete che io e Senna saremmo stati molto piu vicini l'anno scorso se i regolamenti non fossero cambiati: e sappiamo tutti chi è stato a cambiarli! Chi è che negli ultimi anni ha finito piu gare di tutti?».

Mansell dopo Montreal '91: che rabbia...

 - È possibile che voi, alla Williams, non abbiate lo stesso potere di agire - per così dire - dietro le quinte che hanno alla McLaren?
«Non voglio fare commenti. Ma perché hanno cambiato i regolamenti in modo che fossero valide per il conteggio dei punti tutte e 16 le gare invece di 11? C'era solo una squadra che poteva avvantaggiarsene. So che sono cose da non dire alla leggera, ma non mi importa...».
- Che parte ha avuto la McLaren nella squalifica dell'Estoril l'anno scorso?
«Forse non tutti lo sanno, ma in Portogallo io fui squalifcato solo perché la Fisa ricevette pressioni dalla McLaren dopo che ero rientrato in zona punti. Ecco perché mi permisero di fare venti giri dopo quel famoso cambio gomme, prima di darmi la bandiera nera. Finché ero fuori dai punti, alla McLaren e a nessun altro interessava che fossi in gara. Ma quanto entrai nei primi sei, e si accorsero che avrei potuto concludere sul polio, chiesero ai commissari di squalificarmi. Forse minacciarono una protesta, o qualcosa del genere».
- E cosa accadde, dopo, al briefing del Gp di Barcellona, quando fosti criticato da Senna?
«Credo di averlo messo in agitazione. Ero l'unico in grado di impensierirlo per il titolo e a lui, ovviamente, questo non andava; è umano. Al briefing in Spagna io me ne stavo tranquillo: quello che era successo all'Estoril, tanto, era visibile a tutti nelle registrazioni. Io non accusavo nessuno, e presi le sue osservazioni come un complimento, un segno della sua preoccupazione e se non fosse successo qualcosa in qualcuna delle gare precedenti - Spa, Estoril, appunto, Montréal... - credo che sarebbe stato anche più preoccupato».
- Ma c'erano altri, in quel briefing, che si erano agitati...
«Quello fu in seguito alla squalifica dell'Estoril. Flavio Briatore della Benetton mi stava difendendo perché avevo subìto un'ingiustizia: Alesi aveva commesso la stessa infrazione e non l'avevano squalificato. Perché, chiedevano Briatore ed altri, c'è una regola per la Williams e una per la Ferrari? E da lì è partita la reazione di Senna, e di quelli della Ferrari, e di tutti... Io facevo solo notare, nel modo più educato possibile, che si usavano due pesi e due misure. Non voglio pronunciarmi, ma molti avevano avuto l'impressione che il cambio gomme di Alesi non fosse stato corretto, con tutte le ruote entro la linea bianca della corsia box. E poi, pensate che sia giusto quello che mi è capitato all'Estoril? Non pensate che ci vorrebbe più flessibilità nell'interpretare certe regole? Quando sei fermo sulla corsia box con la vettura su tre ruote, è più pericoloso riportarla ai box e montare una gomma nuova che effettuare l'operazione sul posto. Quando hai già perso 45-50 secondi è un handicap sufficiente. Ed essere squalificato in quel modo, quasi alla fine, fu una delusione terribile. Specie se un concorrente come la Ferrari aveva avuto un simile problema senza ricevere squalifica. Direi che c'è stata una... licenza artistica in quella decisione».


- L'anno scorso avevi previsto che la Williams sarebbe stata superiore su alcuni circuiti. Cosa puoi dire per questa stagione?
«Ah, già, ricordo di aver detto che per il '91 eravamo favoriti a Montréal. Sarà meglio che quest'anno ci stia più attento...». 
- Tornano i brutti ricordi: hai qualcosa da imputare a te stesso per il '91?
«Certo: in Canada feci spegnere il motore all'ultimo giro, e fu davvero un brutto errore; mi viene da piangere a ripensarci. A Spa uno dei meccanici montò un particolare non verificato e avemmo una panne elettrica. Forse anche a Estoril avrei dovuto rendermi conto che stavo uscendo dai box senza il dado della ruota. Voglio prendermi la mia parte di colpa, perché siamo davvero, tutti, parte di una squadra. Ma l'unica vera responsabilità per cui potrei muovermi delle critiche è per aver osato troppo in Giappone. Sapevo di avere un problema al pedale del freno e non mi sono concesso un margine di errore. Ma dopotutto, fino a quel momento era andato tutto bene... E in fondo e stata una stagione molto positiva».
- Sei sempre cosi speranzoso per il '92?
«No. (Una lunga pausa). Ho dei bei ricordi, e altri meno belli, del '91. Quest'anno la McLaren sarà velocissima e affidabile a inizio stagione. Si vede che hanno fiducia in se stessi perché non fanno niente, non dicono niente, non provano insieme agli altri. Hanno delle sorprese in serbo per tutti. Ma ne abbiamo anche noi e la Elf. Le prime tre corse mostreranno la situazione delle forze in campo. Ma penso che il divario tra noi e la McLaren sia stato colmato; non credo che Ayrton possa distanziarci come fece l'anno scorso nei primi quattro Gp».
- I tuoi rapporti con lui sono migliorati. Fino a che punto?
«Penso di essere maturato negli ultimi anni, e abbiamo grande rispetto l'uno dell altro. In Australia parlammo a lungo, prima della gara, della pioggia e del nostro futuro. Leggo molte cose delta rivalità tra noi due, e non sono vere. Ma qualche volta, in un brutto momento, qualcuno viene a dirci "sai, lui ha detto questo e quello di te". E allora è facile commettere l'errore di rispondere: Ah, sì? Se ha detto questo è idiota. Poi questo qualcuno torna da Ayrton a riferire... ed ecco pronta una storia per i giornali».
- Per quanto tempo ancora continuerai a correre?
«Ho già delle offerte per il '93 e il '94 - non voglio dire se si tratta di F.1 o di qualcos'altro - e finché ho chi mi appoggia l'entusiasmo non verrà meno. Il giorno the saprò di non essere più così veloce, o di stare perdendo la motivazione, lo saprete anche voi. Ma non dimenticatevi: mi sono già ritirato una volta, non devo farlo ancora».
- Come mai hai rinunciato a spostarti con il tuo jet personale?
«Oggi trovo più comodo farlo con gli aerei di linea. Con quello privato, che non aveva sufficiente autonomia per traversare l'oceano, perdevo un sacco di tempo per il rifornimento. E poi ho avuto problemi con i piloti: se andavo nel migliore albergo volevano andarci anche loro, se avevo un pass Foca - l'unico - loro me lo chiedevano. Sono fatti cosi questi maledetti piloti».
Mike Doodson


LA GRINTA FUNAMBOLICA DI UN LEONE DA... CIRCUS

Non mollare mai: una frase che riassume il credo agonistico di Nigel Mansell e che giustifica quell'affermazione, a prima vista un po' arrogante, «sono il solo che può arrivare al limite contro Senna». Che cos'è che trasforma, agli occhi del pubblico, un pilota in un «leone», un combattente che non si rassegna mai? Chi segue la F.1 da qualche anno ha ancora impresse nella mente le immagini di un pilota in tuta scura che spinge con la forza della disperazione la sua Lotus-Renault, con il differenziale rotto, verso il traguardo a Dallas '84, fino a cadere stremato dallo sforzo. Ed è solo una delle tante sequenze da brivido di un film, quello di Nigel, che continua tuttora. La sua rimonta dalla sesta fila al Gp d'Ungheria '89, in un circuito proibitivo per i sorpassi, la beffa ai danni di Senna, complice il doppiato Johansson, flno alla vittoria (la seconda di Mansell in Ferrari), fanno ormai parte della storia dei Gp. E ancora: Imola 1990, Nigel scatenato all'inseguimento di Berger tenta il sorpasso in un punto impossibile, a velocità pazzesca, mette due ruote sull'erba, si gira e riesce, in pochi attimi da arresto cardiaco, a rimettersi in pista e a riprendere la sua caccia. Sempre contro l'austriaco, nello stesso anno, compie l'ennesima prodezza nelle battute finali del Gp Messico, agguantando il secondo posto alle spalle del compagno di squadra Prost con un sorpasso all'esterno all'ultima curva che sfida tutte le leggi della fisica. Quella di attaccare in punti considerati impossibili (ricordate i sorpassi ai danni di Prost a Montecarlo e a Magny-Cours nella stagione appena trascorsa?) sembra essere la caratteristica dell'inglese. Uno che quando sbatte sbatte duro, ma che lo fa tutto sommato di rado, nella lotta sul fllo dell'equilibrio che lo ha reso, se non sempre il più efficace, certo il più funambolico pilota del Circus odierno.
(fotografie Orsi)

25 July 2013

10 cc dal vivo

Published on Topolino No. 1063, 11 April 1976
Pubblicato su Topolino No. 1063, 11 Aprile 1976

10 cc dal vivo
 Siamo andati a Manchester per sentire uno
dei piu quotati complessi rock inglesi: i 10 cc che stanno
avendo successo anche in Italia.


Manchester, Gran Bretagna. Una città grigia, industriale. Un numero di abitanti pari all'incirca a Bologna o Palermo. Free Trade Hall, nel centro della città. Un teatro affollato di giovanissimi. Pieni di colori. Impazienti. Sul palcoscenico ancora inanimato una jungla di strumenti, cavi, microfoni e altoparlanti. Di colpo si spengono le luci in sala. Gli strumenti del palcoscenico prendono vita illuminati dagli innumerevoli riflettori colorati. Un boato da football. Un applauso entusiasmante. I 10 cc sono in scena. Niente preamboli. Tocca alla musica, che si mette a sparare subito. Bella, decisa, pulita. Calda e fresca allo stesso tempo.


Lo spettacolo e partito. Il cielo opprimente e il freddo sono là, via da quei quattro ragazzi Lol Creme, Kevin Godley, Eric Stewart, Graham Gouldman. La formazione dei 10 cc nasce nel 1972. Li chiamano gli eredi dei Beatles, edizione anni 70. Indubbiamente la vena d'ironia, il comportamento scanzonato, la vitalità sembrano sottolinearlo. Si tratta di un sound che per molti tratti, soprattutto negli attacchi, si potrebbe dire figlio naturale di Paul McCartney. Una perfezione esecutiva, una pignoleria quasi ossessiva, che rende le esecuzioni dal vivo tali e quasi alle incisioni.

Affermati professionisti già da tempo, di netta matrice beatlesiana, i 
quattro componenti dei 10 cc in precedenza si chiamavano Hotlegs. 
Con questa etichetta sono entrati anche nella hit parade italiana col 45 
« Neandertal Man ». Recentemente, i 10 cc hanno fatto una tournée di 
grande successo negli Stati Uniti d'America, dove hanno toccato 107 
città, per un totale di 100.000 spettatori.

Ognuno di loro sa suonare strumenti diversi con la massima disinvoltura, facendo spettacolo e dando prova di bravura. Ma oltre al fatto musicale in sé, molto rilievo hanno anche i testi. Sono tutti interessanti, aderenti alla realtà, permeati da una sottile e talvolta graffiante presa in giro della realta. Uno smalto da autentici professionisti. Diversi stili che vanno dal rock al sudamericano al sentimentale. Un suonare asciutto, senza sbavature. Siamo sull'Olimpo del rock anglosassone. La cima di una musica che ti ricarica. E poco importa se intanto fuori da quel teatro pieno di colori e suoni la città è opaca. Il bello è lì. In mezzo a quella folla, al sole della musica.
Max Red

22 July 2013

I grandi amici di Topolino: Martha Argerich

Published on Topolino No. 1081, 15 August 1976
Pubblicato su Topolino No. 1081, 15 Agosto 1976

I grandi amici di Topolino
Martha Argerich


Virtuosa di grande energia tecnica ed espressiva, di tocco limpidissimo ed estremamente preciso. Così l'hanno definita i critici; e i Tedeschi, che di pianisti se ne intendono, e in fatto di musica sono di gusti motto difficili, l'hanno compresa in un album illustrato di grosse Pianisten, di grandi pianisti, cioè, che comincia con Mozart e finisce proprio con lei, Martha Argerich, Il confronto con Mozart è meritato. Come il grande pianista-compositore di Salisburgo, Martha Argerich è sempre stata un prodigio di musicalità. Le sue mani, forti e aggressive e delicate al tempo stesso, sono capaci di rendere con somma sapienza e amore l'armonia di quaisiasi spartito; che esso rechi la firma di Schumann, di Beethoven o di Prokofiev.

Nata in Argentina, a Buenos Aires, trent'anni fa, Martha Argerich e una donna moderna, anticonformista, di carattere un po' spigoloso. Alta e slanciata, il portamento eretto e pieno di grazia, non è un « personaggio » molto facile da definire. Possiede però, grazie al cielo, una carica emotiva di tale trasparenza, che non è difficile intuire in lei un temperamento dirompente.

Martha Argerich insieme con un celebre collega, il pianista Arthur Rubinstein. 
La Argerich, che è nata a Buenos Aires trent'anni fa, è sposata con un direttore 
d'orchestra, e ha un bambino di due anni. Ha cominciato a suonare giovanissima.

La sua carriera e tutta una lunga collezione di riconoscimenti: dal premio Busoni, ottenuto a Bolzano nel 1961, alla conquista del primo posto nel concorso internazionale di Ginevra (sempre nel '61); dal premio Chopin, assegnatole a Varsavia, ai premi Mazurka e Valzer, tributatile (sempre in Polonia) per la perfetta esecuzione pianistica di queste danze...
Certo, dietro questi riconoscimenti ci sono anni e anni di studio, di fatiche, di sacrifici. Martha Argerich ha studiato a Buenos Aires insieme con Vincenzo Scaramuzza (un maestro italiano che nella capitale argentina ha creato una scuola pianistica molto quotata); a Vienna col maestro Guida; a Ginevra con madame Lifatti e Nikita Magaloff; e si è infine perfezionata in Italia con il nostro Benedetti Michelangeli. Con quest'ultimo ha studiato per due anni a Moncalieri; ed è per ciò che, oltre all'italiano, allo spagnolo, al francese, al tedesco e all'inglese, parla anche... il piemontese, come una vera « bôgianen ».

Una suggestiva immagine di Martha Argerich al piano.

Sposata a un direttore d'orchestra, la nostra grande amica ha un bambino di un paio d'anni. « Se un giorno mio figlio dovesse intraprendere la mia stessa carriera », dice, « sarei contenta o no? Non lo so. I sacrifici che ho affrontato per diventare concertista sono stati enormi. Ma oggi, quando vedo il pubblico in delirio, sento qualcosa che mi stringe il cuore. È come se il tuffo nella musica si prolungasse oltre il concerto...»   
E continua: « Ci sono momenti in cui la musica prende il sopravvento fino a sgomentarmi. Succede
quando, per esempio, sento una frase in orchestra che devo ripetere al piano, o quando sono alle prese con un passaggio di intensa espressività... Allora penso alla bellezza della composizione e mi riesce difficile non lasciarmi trascinare. Ma non devo. Il pianoforte è tecnica oltre che cuore, guai a lasciarsi trasportare. L'ideale, comunque, e di equilibrare tecnica ed emozione. Prendiamo, per esempiio, Rachmaninov, e di Rachmaninov il concerto tanto famoso e giustamente celebrato. È una musica piena di colore, romantica, ma anche un po' plateale. Ebbene, è appunto la platealità di questa musica che mi trascina. Vorrei che i ragazzi capissero cosa voglio dire... »

Martha Argerich mentre fuma una delle sue 
innumerevoli sigarette quotidiane. La Argerich ha 
dato e dà concerti in tutti i maggiori teatri del mondo,
 e ha anche inciso moltissimi dischi.

A proposito di ragazzi, Martha Argerich ha un ricordo bellissimo. Un giorno, a Buenos Aires, passava con suo marito per un  parco, quando le si offerse uno spettacolo emozionante. Una scolaresca di ragazzi e ragazze stava  provando una pantomima all'aperto. La pianista sudava per tenere il tempo, la maestra dirigeva la scolaresca con gran fatica e calore. « A un tratto, durante un largo di Mozart, vidi trenta ragazzi, tutti insieme, cambiare espressione, accennare i passi di danza come in estasi. Che cosa era successo? Era successo che quei trenta ragazzi, senza averne coscienza, senza che nessuno li istruisse, avevano afferrato l'istante della musica che rapisce! » Inutile dire che Martha Argerich ha suonato in tutto il mondo, e in tutto il mondo ha riscosso trionfi. Inutile dire che il suo repertorio e vastissimo.
La sua passione è la letteratura; il suo hobby, un hobby insolito, anche tra gli artisti: colleziona animali di pezza. Ne ha la casa piena. La collezione comprende anche molti personaggi Disney. E Martha, molto spesso, si esercita al piano davanti a... Pluto o a Ezechiele Lupo. « Suono per i miei animali e per mio figlio, e a volte interrompo Beethoven o Prokofiev per accennare qualche ninna-nanna o qualche pezzo grottesco. Mio figlio agita festosamente le manine, e i miei animali, pure senza muoversi, sembra facciano segni di assenso. E io sono felice! »
Walter Ricci

20 July 2013

Teresa De Sio: "ô viaggio pe na terra nova"

Published on Topolino No. 1319, 8 March 1981
Pubblicato su Topolino No. 1319, 8 Marzo 1981

Teresa De Sio 
 "ô viaggio pe na terra nova"

 Foto Olympia e Roberto Masotti

Proprio in questi giorni sta ultimando un tour italiano in cui ha cantato in tutte le maggiori città. Teresa De Sio, venticinque anni, Napoletana, segno dello Scorpione, personcina minuta, voce straordinaria che sembra uno strumento musicale. Circa quattro anni fa faceva parte del gruppo Musica Nova che, diretto da Eugenio Bennato, riuniva musicisti come Toni Esposito, Gigi De Rienzo, Roberto Fix. Con loro Teresa ha svolto ricerca sulle radici popolari musicali, sfociata in Villanelle Cinquecentesche, album curato da Bennato. Oggi, Teresa si è messa in proprio. L'LP Sulla Terra sulla Luna è il frutto di questa autonomia. È un viaggio «pe na terra nova», attraverso cioè la musica, dove ci accompagna la voce di Teresa. 


Le musiche sono di Gigi De Rienzo; i testi (motto poetici) e l'interpretazione sono di Teresa che ha usato le parole come tanti suoni, ricorrendo al napoletano perché più malleabile della lingua italiana. Le canzoni hanno ritmi incalzanti e melodie morbide. Ci sono richiami rock, jazz e dichiarate tarantelle, in un uso sempre severo e dignitoso. Un'opera prima, questa, di grande efficacia e di talento. Una curiosità: la musica del brano Nanninella è di Pino Daniele.
Max Red 

18 July 2013

Hello, Goggi (Nel senso di Loretta)

Published on Topolino No. 1336, 5 July 1981
Pubblicato su Topolino No. 1336, 5 Luglio 1981

Hello, Goggi 
(Nel senso di Loretta)

Attrice, cantante, ballerina, brillante show girl, la Goggi calca le scene dal 1961. nel mese d'agosto sarà in giro per l'Italia in un tour canoro; a settembre apparirà in tv, su Canale 5, con un show tutto suo. Hello, Goggi.


A trentuno anni, Loretta Goggi (è nata a Roma il 29 settembre del '50) è uno dei volti piu noti del mondo dello spettacolo. All'ultimo Sanremo si è piazzata seconda con la canzone Maledetta primavera. In questi giorni sta registrando, negli studi della emittente privata Canale 5, uno show di tredici puntate, in programma per settembre, intitolato Hello, Goggi. Un varietà dove Loretta è la mattatrice. Durante una pausa abbiamo avuto occasione di fare quattro chiacchiere con lei. È nel suo camerino davanti allo specchio del trucco. Indossa una camicetta bianca e una gonna ampia, color antracite, con pizzi bianchi in fondo. Mentre parliamo, il truccatore si occupa del maquillage di Loretta: qualche colpo di phön ai capelli, rimmel e matita per gli occhi, un po' di cipria...

"Hello, Goggi" che genere di trasmissione è? «È una trasmissione nella quale l'unico personaggio fisso sono io. A parte naturalmente l'equipe del regista, coreografo, eccetera, eccetera. È una trasmissione molto libera. Non c'è uno schema preciso, fisso. C'è la possibilità di fare in tutti i modi spettacolo, con grande libertà: dal cabaret, alle canzoni, ai numeri di mimo, ai balletti, e tantissime cose. È tu balli, mimi, canti? «Si, tutto. Tutto, tutto. Non solo io, intendiamoci. Ci sono tantissimi ospiti: dai cantanti di chiara fama (tra cui Aznavour, Leo Ferré, Renato Rascel, Dalidà, Norma Jordan), a cabarettisti (come Massimo Boldi, Teocoli, Felice Andreasi, Maurizio Micheli), percussionisti (Tony Esposito, Tullio Depiscopo). C'è di tutto. È veramente uno spettacolo molto aperto.»


Tu hai due sorelle: Liliana, maggiore di te, e Daniela, piu giovane, anch'essa inserita nel mondo dello spettacolo. Il fatto di aver intitolato questo show "Hello, Goggi" significa che di Goggi ce n'è una sola, cioè Loretta? «No. Si tratta di un modo abbastanza cameratesco di salutarci. Nel nostro ambiente difficilmente ci si chiama per nome. Tra di noi, quando ci si iricontra, si dice "Ciao, Goggi!", "Ciao, Trapani!", "Ciao, De Vita!". Non diciamo mai "Ciao, Enzo!", "Ciao, Tony!". Come a scuola, no? L'insegnante ti chiama per cognome. Uguale è nel nostro ambiente.» È bello il tuo ambiente? «A me piace molto.» Perchè?
Perchè mi dà modo di trovarmi sempre a mio agio, di scoprire tantissime cose e nella gente e nell'arte. Ti mette a contatto col pubblico, con tremila situazioni talmente diverse e, nello stesso tempo, mi permette di fare le cose che so fare.»

Sei soddisfatta dei traguardi che hai raggiunto? «Si, anche se non voglio porre un termine assolutamente. Nel senso che credo di avere tante altre cose da scoprire, da imparare. Però sicuramente il livello di quello che sono riuscita a fare è già soddisfacente.» Il tuo prossimo LP, che uscirà a settembre, ha già un titolo? «No, perchè lo sto facendo molto lentamente, cercando con attenzione e con cura tutti i pezzi: me ne mancano ancora due o tre. C'è però un filo conduttore. Nel senso che è un LP che parla di una donna di 30 anni, che fa il mio mestiere e che vive le esperienze che può vivere una in questo ambiente, essendo donna, essendo essere umano.» È un LP autobiografico? «Ecco si, è un LP autobiografico, quasi. Quasi, perchè ci sono licenze poetiche, atmosfere da creare. Perciò non posso dire che parola per parola sia tutto vero. Ma c'è ugualmente tanto di me.»


Tu sei allegra o melanconica? «Sono tutt'e due. Sono una persona molto passionale e di conseguenza vivo tutte le cose the mi capitano con grande intensità, siano esse cose spiacevoli o cose felici. Direi che non sono una persona piatta, una persona... come si dice... incasellabile.» Tu sei del segno della Bilancia. Credi agli oroscopi? «Io credo all'astrologia, non all'oroscopo, nel senso di quello the ti succederà domani o oggi. Però all'astrologia credo. Tanto è vero che io della Bilancia ho moltissime caratteristiche.» Quali sono queste caratteristiche? «Be', per esempio, è un segno che adora l'armonia, la giustizia, ha molto senso dell'estetica, è il segno simbolo della socievolezza. È un segno molto femminile, ha momenti di grande entusiasmo e momenti di grande prostrazione. La Bilancia dovrebbe poi essere volubile e io in questo non mi ritrovo perchè ho l'ascendente nel segno del Toro che è molto positivo, molto costante, molto per terra.»


Pensi di piacere di piu ai giovani o agli adulti? «Non ho mai fatto una indagine in questo senso e ritengo che il mio pubblico sia un po' tutto. Ricevo lettere da bambini, come da adulti, da ragazzi...» E cosa ti scrivono? «Di tutto. Dal mandarmi regali e ricordarsi i compleanni che neanch'io mi ricordo, a consigli su come intraprendere il mio mestiere, alla semplice fotografia, alle domande di matrimonio, a "Posso venirti a trovare?", "Vieni ospite a casa mia?". Di tutto. Poi c'è pure l'ecologo.» L'ecologo? «Eh, si, uno che mi ha querelato per Maledetta primavera perchè, secondo lui, ho offeso l'unica cosa pulita che esiste in questo momento.» Ma ora è tempo di sgomberare il campo. Loretta deve finire di cambiarsi e le telecamere l'aspettano. Per farcela vedere a settembre in Hello, Goggi.
Max Red

13 July 2013

Immersione nel futuro

Published on Topolino No. 1375, 4 April 1982
Pubblicato su Topolino No. 1375, 4 Aprile 1982


Jacques Yves Cousteau
Le grandi avventure sotto il mare
Immersione nel futuro
Un futuro che, però, è gia presente. Le esperienze di Precontinente 1, 2 e 3, per 
portare l'uomo a lavorare ben oltre i 100 metri di profondità.

Jacques Yves Cousteau è nato 71 anni fa nella Gironda, in Francia. Ha dedicato un'intera vita all'esplorazione subacquea e alla ricerca, in difesa di un mondo che negli anni a venire, forse piu che nel passato, rappresenterà per l'uomo fonte di ricchezza, di bellezza e di vita. Le esperienze di Cousteau, i suoi studi, la sua vita sull'ormai mitica nave Calypso, sono raccolti in libri e documentari cinematografici noti in tutto il mondo. In Italia, proprio in questi giorni, sono uscite le prime dispense dell'enciclopedia «Pianeta Mare» di Jacques Yves Cousteau, curata dal Gruppo Editoriale Fabbri, e dalla quale sono tratte le fotografie di questo servizio.  


Una passione: il mare. Un sogno divenuto realtà: far si che l'uomo possa vivere e lavorare sott' acqua. Jacques Yves Cousteau, scienziato, ricercatore, scrittore, esploratore, si è immerso nel futuro. Un futuro, però, che è già oggi e si chiama Precontinente 1, 2 e 3. Ovvero: la vita dell' uomo a 10, 25, 100 metri di profondità.

Nelle acque dell'lsola di Pomègue, vicino a Marsiglia, la 
Calypso trasporta una strana «botte»: è Diogene, la 
prima casa sottomarina.

Due uomini, Albert Falco e Claude Wesly, vivranno qui 
dentro per una settimana, lavorando in una zona di mare 
fra i 10 e i 25 metri di profondità. L'operazione si chiama 
Precontinente 1.

Cos'è il Precontinente, lo dice la parola stessa: ciò che viene prima del continente. È quella parte di terra sommersa the scende sino a 250-300 metri. È, insomma, il continente the prosegue sott'acqua. Miliardi di anni fa, terra emersa; oggi, coperta dal mare. È un enorme gradino (zoccolo) che porta ai grandi abissi.
È in questa fascia the esistono i grandi giacimenti di petrolio ed è qui che si svilupperanno (già in America c'è qualche esperimento in atto) allevamenti intensivi di pesce.


Nella casa a stella di Precontinete 2, vissero cinque «oceanauti» a 10 metri di 
profondità. Dentro c,è spogliatoio, docce, soggiorno, cuccette, cucina e un
 laboratorio. 

 Il batidisco entra nel «garage» che fa parte del «vilaggio».

La prima esperienza, ovvero Precontinente 1, risale al 1960-1961. Cousteau organizza, nel mare antistante Marsiglia, la vita di due uomini, per una settimana, a dieci metri di profondità. La loro «abitazione» si chiama Diogene ed è un cilindro, nel quale i sub respirano aria. I due uomini escono dal cilindro per lavorare sino a 25 metri di profondità. All'interno di Diogene la pressione è uguale a quella esterna e, per risalire in superficie, i sub hanno bisogno di un periodo di decompressione di 24 ore. È necessario, quindi, un giorno per sciogliere l'azoto che si è accumulato nel sangue in sette giorni di permanenza a 10 metri di profondità.

Precontinente 1 è il primo passo, o meglio, la somma dei primi passi fatti dal «comandante», dal 1940, sulla strada che deve portare l'uomo a lavorare sott'acqua.

Cousteau non è certo uomo da fermarsi qui. Il suo obiettivo e molto piu lontano e, nel 1963, realizza un secondo progetto ancora piu ambizioso: un intero villaggio sottomarino. La località scelta e il Mar Rosso. A 10 metri di profondità vengono piazzati una casa per cinque persone, un garage per il batidisco, e un centro di allevamento di pesci.

Un'altra casa, con due uomini, viene, invece, realizzata a 25 metri. In quest'ultima i sub respirano elio e non piu aria. La scelta dell'elio è uno dei punti di forza di Cousteau e dei suoi studi sulla tecnica subacquea. L' uso dell'elio, gas leggero e con poca densità anche quando e sottoposto a forti pressioni, permette di scendere sino a 500-600 metri, cioè a profondità in cui l'aria avrebbe una densità piu o meno simile a quella di un pezzo di legno.

In Precontinente 2, due uomini lavorano per una settimana sino a 75 metri di profondità, studiando la vita dei coralli e i pescecani, mentre i cinque uomini a 10 metri stanno sott'acqua un mese intero.


 Gli «scooter sottomarini» (in alto) e le «pulci», (qui sopra) sono realizzati
da Cousteau, insieme al batidisco, per l'esplorazlone dei mari e il lavoro 

dell'uomo sott'acqua. Le «pulci» sono monoposto e possono scendere 
sino a 500 metri.

Le esperienze accumulate in Precontinente 1 e 2, portano Jacques Yves Cousteau alla terza fase: Precontinente 3. Una porta che si apre sulla soglia dei 100 metri di profondità, dove la notte è perenne, uno sguardo verso i grandi abissi. Qui per un mese sei uomini vivono a 100 metri di profondità e lavorano a 120-130 metri. I sub sono rinchiusi in una sfera di sei metri di diametro, appoggiata sul fondo della rada di Villefrance.

E oggi? A che punto siamo? L'uomo oggi scende sino a 500 metri. A questa profondità riesce a lavorare, sostando per periodi relativamente lunghi.

In Precontinente 3 sei sub hanno vissuto in una grande sfera (6 m di 
diametro) per un mese a 100 metri di profondità.

Per arrivare a tanto, si e studiato, sperimentato, elaborato esperienze proprie e altrui. Cousteau e i suoi uomini sono stati i pionieri che hanno contribuito a superare problemi che, per anni e anni, sono apparsi insormontabili. È stato superato il freddo che, gia a pochi metri di profondità, avvolge il sub e che a accentuato dalla presenza dell'elio nelle case sottomarine. Per questo sono state impiegate mute riscaldate ad acqua oppure elettricamente. È stato superato il problema delle comunicazioni, grazie all'inserimento di radio negli scafandri carenati. Ed è stato anche superato, almeno in parte, il cosiddetto effetto della «voce di Paperino». Nelle abitazioni dove i sub respirano elio, le corde vocali non vibrano e quindi la voce esce storpiata e stridula. Per evitare ciò, può essere usata una maschera con del gas (il neon) che ristabilisca un'atmosfera simile a quella terrestre.

L'uomo, dunque, dai primi tuffi di qualche decina d'anni fa, che lo portavano a pochi metri sotto il livello dell'acqua, è arrivato a profondita che toccano il mezzo chilometro. Ormai ha a portata di mano le immense ricchezze di un mondo meraviglioso, ma neppure i 500 metri di profondità rappresentano l'obiettivo finale. Oggi gli uomini stanno scendendo ancora, per andare piu lontano. Verso gli abissi di cui ancora troppo poco si conosce.


Le fotografie sono state tratte dall'enciclopedia Pianeta Mare di Cousteau, curata dal Gruppo Editorale Fabbri.