17 August 2013

Trix ha fatto Patatrac

Published on Topolino No. 1365, 24 January 1982
Pubblicato su Topolino No. 1365, 24 Gennaio 1982


Trix ha fatto Patatrac


Uno, due... Trix. Appena arrivate sugli schermi italiani, è stato subito successo. Sono le tre gemelle di Patatrac, la trasmissione di Boncompagni in onda sulla Rete 2 alla domenica sera. Argentine, 22 anni, nate sotto it segno del Cancro, Maria Emilia, Maria Eugenia e Maria Laura Fernandez Rousse sono identiche fra loro come tre gocce d'acqua. A chi chiede loro come fare per riconoscerle, rispondono che è semplicissimo: "Io sono romantica, lei è aggressiva e lei timida..."


Già note all'estero da alcuni anni, le Trix hanno avuto un padrino d'eccezione: Julio Iglesias, che le ha volute con sé in una tournée attorno al mondo. In Italia hanno inciso due dischi: la sigla di Patatrac, trasmissione che le ha fatte conoscere al pubblico italiano, e "C' est la vie". Un nuovo disco uscirà a giorni.


In Patatrac, le Trix rappresentano le "note musicali" della trasmissione condotta da Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e Luciana Turina. Tre note musicali che, però, non disdegnano di uscire dal pentagramma per ballare, ridere e scherzare con i partner della trasmissione. Tre note graziose che in poche settimane hanno conquistato tanti fans, da aggiungere a quelli già esistenti in tutto il mondo e soprattutto in Spagna e Argentina.

9 August 2013

Il personaggio: Michael Schumacher

Published on Autosprint No. 7/1992, 11-17 February 1992
Pubblicato su Autosprint No. 7/1992, 11-17 Febbraio 1992

Il personaggio: Michael Schumacher
A tutta birra
 Lo paragonano al primo Senna, ma lui ci va piano... Poi, tra i ricordi della pista di kart dove è cresciuto, l'uomo su cui la Sauber punta tutto per il suo programma F.1 nel '93 si sbottona e annuncia il suo credo: andare sempre al limite


MAHNEIM - A vederlo gironzolare per la pista di kart di Manheim, quattro case emergenti dalle nebbie che avvolgono la campagna ultrapiatta attorno a Colonia, lo si direbbe un ragazzo qualsiasi che nel tempo libero si diverte a fare qualche sbandata con il sedere a dieci centimetri da terra. Poi lo segui più attentamente: apre con le chiavi il piccolo bar a lato pista; va verso una baracca sul retro dalla quale fa uscire un cane nero che non vedeva l'ora di correre nei campi gelati; manovra con perizia i tanti kart di ogni tipo accatastati in un garage improvvisato. Sarà il figlio del gestore della pista, pensi. A pochi verrebbe in mente che questo giovanotto in jeans e giubbotto di pelle sia il pilota di Formula 1 più osservato del momento, quello che la Benetton stringe a sé come un tesoro e che la Sauber (ma sarebbe forse meglio dire la Mercedes) ha già indicato come suo pilota numero uno per i Gran Premi nei quali debutterà il prossimo anno. Siamo venuti in questo angolo di Germania, a pochi chilometri da Belgio e Olanda, per scoprire come sia nell'intimità di casa sua questo giovanotto che negli ultimi sei Gp del '91 ha fatto scomodare miti ormai polverosi come il giovane Senna o addirittura il Villeneuve (ma senza i suoi indimenticabili voli) degli inizi in Ferrari. Dove trae l'energia e l'ispirazione, questo Schumacher, per andare sempre cosi forte, in modo naturale, con il sorriso sulle labbra?
«Penso che molta gente sia entusiasta perché nel '91 ho fatto un buon lavoro - Michael mette subito le mani avanti - ma vorrei non si dimenticasse che quest'anno la situazione sarà diversa. Ci si aspetta da me di più di quanto ho fatto vedere lo scorso anno, ma ciò e sbagliato. Quest'anno in pista ci saranno nuove realtà, come la Ligier-Renault o la Dallara con motore Ferrari: non sappiamo come andranno, non sappiamo come andremo noi con la Benetton. Mi piacerebbe dire: nel '91 ho fatto quattro punti in sei gare, quest'anno ne farò di più. Ma non posso nemmeno pensarlo: spero di concludere tanti Gp».
- Resta il fatto che tutti, nell'ambiente, sono rimasti sorpresi da quanto veloce, subito e costantemente, tu sia andato. «Si - ribatte subito, senza un piccolo dubbio - nessuno, nemmeno io, poteva aspettarsi certe prestazioni. Ma non dimentichiamo che ho fatto solo sei gare, ne ho finite solo tre: non ho tanta esperienza e finirò per fare qualche errore. Penso sia inevitabile: ho 23 anni a devo imparare. Guarda il caso di Alesi: nel 1990 fece grandi cose e per it '91 si pretendeva the fosse più veloce di Prost. Ciò non è successo, anche se Jean ha ugualmente fatto un ottimo lavoro».

La visita d'obbligo alla pista di kart dove Michael ha mosso i primi passi 
come pilota; nel karting, Schumacher è stato «solo» vicecampione mondiale, 
ma lo considera una disciplina molto formativa per un aspirante pilota F.1

 - Eri cosciente di quanta attenzione ci fosse su di te?
«Sì, ma non mi dava fastidio. Ho sempre guidato senza avvertire pressione su di me. Beh, forse ero un po' nervoso al via in Giappone, dopo l'incidente in prova che mi aveva causato male a un braccio. Ma per il resto ero tranquillo. E lo sono anche adesso, anche se so che forse la pressione si farà sentire, un giorno o l'altro. Mi fa paura la gente che si aspetta troppo da me, non vorrei deluderla».
- Ti reputi un pilota instintivamente super-veloce?
«So che ogni volta che sono in pista penso che potrei andare più veloce - anche questa volta nessun dubbio, nessuna pausa di riflessione: tedesco fino in fondo questo Schumacher... - Ma è un fatto tecnico: spesso la vettura non consente di raggiungere il tuo limite personale. Solitamente vado in pista e faccio il mio giro: raramente mi fermo a riflettere sul giro precedente, sugli errori che magari ho fatto pensando poi a come correggerli. Esco dai box e via: è un fatto naturale».
- Non ti sei mai trovato in difficoltà?
«Beh, al primo test con la Jordan prima del mio debutto in Belgio. Quei primi tre giri a Silverstone furono pazzeschi: con tutte quelle vibrazioni, i freni così potenti, tutto così veloce... Non ci ero abituato. Pensai: la F.1 è proprio dura. Poi mi fermai ai box, parlai con i tecnici, mi rimisi un po' dalla sorpresa e tornai in pista: al quindicesimo giro segnai il miglior tempo e da lì in poi restai sempre su un buon livello. A Spa non ricordo un giro (in prova, perché la mia gara finì ben presto) in cui mi sia mai trovato in difficoltà, anche per un attimo. Tutto era così facile...».

I trofei sugli scaffali sembrano tanti, ma sono solo una piccola parte di 
quelli che ha vinto..

- Ma il Schumacher più eccitante arrivò tre Gran Premi dopo, in quei primi giri sgomitando con Senna e Mansell in Spagna...
«Sì, ma ancora non ero al limite. Quella fu una situazione anomala, perché fui molto aiutato dalle gomme. Le Pirelli della mia Benetton erano perfette, quel giorno, sull asfalto umido dei primi giri. Mentre le Goodyear in quelle condizioni ebbero bisogno di parecchi giri per adattarsi bene, io con le Pirelli potei subito fare qualsiasi cosa. Ecco perché andai così forte: merito dei pneumatici, anche se poi presto si deteriorarono e dovetti abbassare il mio ritmo».
- Qual è il tuo stile preferito di guida?
«Una guida pulita, senza dubbio. In questo mi ha insegnato tantissimo il Gruppo C, dove bisogna risparmiare il carburante, le gomme. Dopo la mia prima esperienza in Gr. C, ricordo che tornai in F. 3 e mi trovai molto, molto migliorato. Penso che la formula sia semplice: bisogna andare al cento per cento, e il tempo viene fuori. Si può anche andare al centodieci per cento, a volte. Ma equivale ad andare al novanta per cento: prima o poi ti trovi sempre a dovere rimediare a qualche piccolo errore, a una imperfezione, ed ecco che hai gettato via il piccolo vantaggio che ti eri procurato magari con una staccata da crepacuore. Una volta sentii Gerhard Berger dichiarare, in una intervista, che la sua vettura era in quel caso più veloce di quanto il suo limite di pilota gli consentisse. A me non è mai successo».



 - Hai da poco compiuto 23 anni (Schumacher è nato il 3 gennaio 1969, ndr) e sei sulla cresta dell'onda, al massimo livello. Quando hai iniziato a pensare a un possibile futuro in F.1?
«La prima volta che ci pensai fu nel 1989. La Ons (l'ente automobilistico tedesco, ndr) mise in palio un test con la Zakspeed F.1 per il pilota che avesse vinto Zeltweg F.3. Vinsi io. Ma poi non se ne fece nulla: evidentemente Zakowski aveva a quel tempo altri problemi cui pensare... Prima di allora, ho praticamente sempre pensato solo al karting, la mia passione di sempre dato che iniziai a correrci quando avevo 4 anni».
- Come iniziò questa passione?
«Mio padre amava trafficare con la meccanica, con l'ambiente delle corse, e a quei tempi preparava qualche kart con motore motociclistico per ragazzini. Iniziai così: andavo fortissimo perché ero piccolino, pesavo meno dei miei avversari. A sei anni ero già campione di club. Mi divertii fino agli undici anni, fino al 1980. Poi finirono i soldi e mio padre non poté più permettersi di farmi correre. Lì iniziarono i miei colpi di fortuna. Gerhard Noack, proprietario del kart-shop che c'è in questo kartodromo, prima acquistò il mio kart, poi vedendomi triste ce lo rivendette a metà prezzo. Mio padre gli disse che comunque non sapeva come fare a portarmi in giro sui kartodromi della Germania, e Noack si propose di seguirmi lui: pagava e mi assisteva il kart. Insieme vincemmo un sacco di gare. Poi arrivò un altro sponsor: Jurgen Dilk, una delle persone piu importanti della mia vita. Iniziò a seguirmi facendomi correre: lui si accontentava di tenere i trofei che vincevo. In tutto, nel karting, ne avrò conquistati 400: me ne sono rimasti pochissimi. Dilk iniziò a seguirmi nel 1983 e arrivò a presentarmi ad Adolf Neubert, che era l'importatore per la Germania della Kali Kart. Anche Neubert mi fece correre gratis: arrivarono un sacco di vittorie, titoli nazionali e uno europeo, più uno di vice campione del mondo».
- Quando ci fu il passaggio alle monoposto?
«Nel 1987 mi proposero un test di Formula Ford: io accettai, perché no? Provai in dicembre a Hockenheim e dopo due ore di test segnai 1'12"9. Il proprietario del team disse che non era niente male. Era stato vicecampione europeo e volle scendere in pista lui: fece 1'14"5. Scese dalla macchina e mi fece firmare un contratto per la stagione '88. Ma c'erano comunque da pagare 25.000 marchi, che io non avevo. Per fortuna Dilk disse: pogo io, se poi troviamo uno sponsor li recupero. Feci la stagione e arrivai quarto nel nazionale e secondo nell'europeo».


- Da lì alla Formula 3 come andò?
«Allo stesso modo. Willy Weber (attuale manager di Schumacher, ndr), mi propose un test in F.3. Andammo al Nürburgring in agosto e il test andò benissimo, con una Reynard '87, quella guidata da Franz Hexler, uscii e al primo giro sul nuovo tracciato feci 1'42" e qualcosa, quando il record di Hexler era quel giorno di 1'41"5. Al quindicesimo giro feci segnare 1'39"5. Ma devo ricordare una cosa: Hexler era un fornaio, aveva lavorato tutta la notte e quindi aveva guidato per tre ore verso il Nürburgring: in quelle condizioni come poteva andare veloce? Comunque Weber mi fece subito firmare un contratto per due stagioni, 1989 e '90, con il team Wts di Formula 3. Arrivai terzo in campionato tedesco il primo anno, poi lo vinsi alla stagione successiva».
- Poi la Mercedes Gr. C, quindi, nel '91, la Formula 1...
«Sì: Neerpasch voleva farmi fare una esperienza di Formula 1 e Jordan ci propose di guidare in Belgio la monoposto del povero Gachot che era finito in carcere. Poi arrivò la Benetton. Il resto lo sanno tutti».
- Ma resti un pilota Mercedes, nonostante un contratto con la Benetton. Ora come andranno le cose? (Questa intervista è stata effettuata lunedi 3 febbraio, cioè un giorno prima dell'annuncio Sauber circa il suo arrivo in F. 1 nel 1993).
«È vero: il mio contratto con la Benetton è fino al 1995, ma la Sauber può riscattarmi. Non potrebbe farlo quest anno, ma dal 1993 in poi, sì. E comunque - il tono è quantomai risoluto - l'ultima parola resta mia: sarò io a decidere con chi gareggiare e quando».
- Tuo fratello corre in kart. Ha dimostrato di andare forte anche lui?
«Sì, Rolf ha solo 16 anni ma sul circuito di casa - quello dove la madre Elizabeth gestisce il bar, ndr - è già più veloce di me. Ma voglio che faccia almeno un'altra stagione piena nel karting: è questa la specialità più formativa per un futuro pilota. Dopo tanti e tanti anni di karting, ora mai, dico mai, mi trovo in alcuna condizione di difficoltà in pista. Bisognerebbe fare di più per il karting».

 Schumacher impegnato con la Benetton nella stagione del suo sorprendente debutto 

- Le corse non hanno mai danneggiato la tua vita di studente?
«Beh, in realtà ho sempre pensato solo al kart e alle corse. Dopo le scuole medie, a sedici anni, ho fatto un corso meccanico di due anni che mi avrebbe permesso, se non avessi potuto continuare a gareggiare, almeno di lavorare sui motori».
- Com'è la tua vita qui a Kerpen?
«Perfetta: questo è l'unico posto dove sto veramente bene, dove riesco a ricaricare le batterie dopo tanti giorni di trasferta in giro per il mondo. Non faccio nulla di particolare: frequento gli amici di sempre, vado in bicicletta per tenermi in allenamento, dato che non posso fare jogging perche ho qualche problema alle ginocchia. Poi qui sto con la mia ragazza».
- Come si chiama? Non la si è mai vista ai Gran Premi...
«Hhmm, non importa come si chiama. No, non è mai venuta in pista perché ci sto insieme da tre mesi, da dopo l'ultimo Gp».
- Ti vuoi sposare presto, e magari avere dei figli?
«Ah ah - clamoroso: prima risata - non sono stupido. Se vuoi bene a una persona ciò non
rende obbligatorio il matrimonio. Poi non farei mai figli prima di avere finito con le corse».

- Cioè quando? Dopo quanti titoli di campione del mondo?
«Beh, sono contento che la pensiate così. Ma preferisco non pensarci, quantomeno per scaramanzia: nel karting il mio obiettivo era un titolo iridato e non ci sono riuscito, solo un secondo posto. Stavolta non voglio rischiare».

Michael Schumacher nella sua Mercedes (ovviamente... ) 
con la cagnetta Sally

 - È vero che la Ferrari ha tentato di affiancarti ad Alesi quest'anno?
«Non è vero. Da metà dicembre in poi sono stato in vacanza e quando sono tornato Weber mi ha detto che qui era scoppiato un putiferio: la Ferrari mi voleva, la Williams mi voleva, la McLaren mi voleva, la stampa era agitata... Beh, non so con la Benetton, ma con me o con it mio manager la Ferrari non si è mai fatta sentire. E così la Williams e la McLaren. Magari è vero che mi vorrebbero, ma certo non prima del prossimo anno. Io ero in vacanza alle Seychelles, sull'isola di Mahè, con la mia ragazza: ero arrabbiatissimo perché pioveva sempre, tanto forte da non potere uscire dall'hotel eccetto gli ultimi quattro giorni. Da lì in poi il tempo è stato eccezionale e abbiamo potuto andare al mare, fare immersioni. Soprattutto non pensare neppure un attimo alla Formula 1...»
Roberto Boccafogli  
(fotografieErcoleColombo)

Nel suo palmares manca la F.3000
Non vince solo dove... non corre!
Tre momenti della carriera di Schumacher: nella foto a sinistra è in F.3, categoria nella quale vinse nel '90 il titolo tedesco; al centro sulla Mercedes GrC, che nel '94 ha diviso con Wendlinger dopo l'apprendistato con gli «anziani» fatto l'anno prima; a destra è sulla Jordan che lo ha visto debuttare in F.1 a Spa (fotoAction/Orsi)

 Qual è il momento più difficile nella carriera di un «fenomeno»? Sicuramente la seconda stagione, quella nella quale deve confermare le buone cose fatte vedere al debutto. Ma per Michael Schumacher, classe 1969, nativo di Hürt-Hermülheim in Germania, il successo non è arrivato solo con la F.1. L'unica categoria che non lo ha visto brillare (ma solo perché l'ha saltata a piedi pari... ) è la F.3000: per il resto, il giovane Michael ha sempre saputo imporsi. Dai kart, nei quali iniziò a correre da bambino per arrivare a 14 anni a laurearsi campione tedesco Junior, per poi divenire vicecampione mondiale l'anno dopo e vincere i titoli nazionale ed europeo nell'87; alle formule minori, che lo hanno visto imporsi nel campionato F.Koenig tedesco (1988) e arrivare secondo nell'europeo F.Ford; per passare poi alla difficile F.3 del suo paese d'origine, dove nell'89 e nel '90 si è scontrato con gente del calibro di Frentzen e Wendlinger, facendosi superare sul filo di lana da quest'ultimo nel primo anno ma vincendo poi alla grande il titolo la stagione successiva. In contemporanea, quasi a voler bruciare tutte le tappe, c'è l'esperienza maturata con lo Junior team Mercedes in Gruppo C: una stagione a fianco del «vecchio» Jochen Mass per apprendere i trucchi del mestiere e poi via, nel '91, in coppia con Karl Wendlinger, un equipaggio di giovanissimi che ha avuto la soddisfazione della vittoria di Autopolis, l'unica per le Stelle d'Argento l'anno scorso. A coronare il tutto, ovviamente, arriva la Formula 1, quasi un passaggio obbligato: prima il Gp di Spa-Francoforchamps con la Jordan, al posto di Gachot (gara conclusa quasi subito); poi, la complessa vicenda che l'ha portato in Benetton. E adesso, un'altra stagione con il team angloveneto ma con la figura della Sauber, «orfana» della Mercedes ma non dei finanziamenti stanziati in precedenza, che si staglia già per il '93.

7 August 2013

Il personaggio: Nigel Mansell

Published on Autosprint No. 8/1992, 18-24 February 1992
Pubblicato su Autosprint No. 8/1992, 18-24 Febbraio 1992

Il personaggio: Nigel Mansell
Bocca di fuoco
  La lunga pausa invernale non gli ha tolto la voglia di vincere. E neanche quella di parlare a ruota libera di sé e degli avversari senza risparmiare le sue bordate su certi episodi...


DIDCOT - «È la prima volta in dieci anni che riesco a vivere come un essere umano»: Il Mansell che, rilasato e disteso, parla a ruota libera di se stesso, del mondiale alle porte e degli episodi più controversi di quello passato, somiglia appena all'uomo nervoso e tirato dell'autunno scorso, quando dava la caccia alle residue speranze di agguantare un titolo sfuggitogli per troppe volte. Il lungo periodo di riposo, la possibilità di starsene finalmente in pace, con la sua famiglia, nella casa che ha comprato in America, il caldo e il sole della Florida gli hanno ricaricato le batterie: «La cosa più bella, per me e per i miei, di vivere negli Usa è che quasi nessuno ci riconosce. Posso andare da McDonald's con i bambini, fare la spesa, persino andarmene a Disneyworld. Cose che non potevo fare nemmeno sull'isola di Man... Ma devo dire che la casa è solo per l'inverno; ora forse riuscirò a passarci qualche giorno prima di Kyalami e del Gp Messico. Comunque ho trovato un nuovo modo di vita, una fame di vivere, un appetito per tante cose, che prima non avevo». L'appetito, in effetti, non sembra essergli mancato: Frank Williams insiste perché perda qualche chilo prima del mondiale... «Ma no, sono più in forma di quanto non sia mai stato prima di un Gran Premio. Con il tempo che c'è in Florida sono riuscito ad andare in bicicletta, ad allenarmi, a giocare a golf. E anche a mangiare le cose giuste. Non peso più dell'anno scorso, anzi forse nello stesso periodo ero quasi due chili più grasso. E non dimenticate che per anni sono stato il più pesante dei piloti di F.1, per cui è uno svantaggio che ho sempre dovuto affrontare». Uno svantaggio che non gli ha impedito di stracciare il'record dell'Estoril nei test di febbraio, con la Williams Fw14 equipaggiata di sospensioni attive. Come va il suo affiatamento con questo sistema? «La sospensione provata in Portogallo utilizza una tecnologia completamente nuova, che si è mostrata promettente. Sono cambiati parametri, così come uno dei computer di controllo, e di conseguenza anche il comportamento della monoposto è differente. Purtroppo non è ancora possibile sdoppiare tutti i circuiti per garantire maggior sicurezza in caso di guasto».
- E la frizione a comando automatico?
«La macchina monta ancora il pedale sinistro, ma l'obiettivo finale è la sua eliminazione. Al momento è possibile utilizzare il sistema tradizionale oppure no, ma il comando automatico è molto interessante ed evita di sbagliare una partenza. Farà comodo a Riccardo...».

- Come pensi che sarà la situazione in qualifica, con la scomparsa delle gomme da tempo?
«In alcuni circuiti penso che sarà molto dura. A Budapest, per esempio, così come a Montecarlo e a Imola. Con le gomme a mescola dura sarà possibile effettuare molti giri con ogni treno, e avremo un sacco di traffico in pista. Difficile fare il tempo, e anche pericoloso».

- Come andranno le cose fra te e Patrese? Avrete lo stesso materiale?   
«Non ci saranno ordini di scuderia, così come l'anno scorso. La Williams è uno dei pochi team a comportarsi in maniera onesta con i suoi piloti. Così, anche se sarò io ad avere due vetture disponibili a gara, lui può stare sicuro che la sua sarà altrettanto buona. È un riconoscimento al suo talento».


Mansell sulla Fw14

 - A parte Riccardo, c'è chi ti aiuta nel programma di test?
«Si: Damon Hill, il nostro collaudatore, sta facendo un lavoro magnifico: non avevo mai capito quanto fosse dedito al suo compito finché non abbiamo provato insieme. Mi auguro di vederlo presto in gara nel mondiale con la Williams, magari l'anno prossimo; il suo unico problema, poveretto, sono i piedi troppo grandi. Mi sa che li ha presi da suo padre...».
- Che squadra temi di più per il prossimo campionato?
«Al solito, vedo favorita la McLaren-Honda; ma tutti i top team dovranno lavorare molto sull'affidabilità, pensare a fare punti nelle prime gare».    
- E il pilota che ti darà più filo da torcere?
«Lo sappiamo tutti chi è:, c'è un solo pilota - che può avvicinarsi al limite quanto me, ed è Ayrton Senna. Non vorrei essere frainteso, ma credo di essere l'unico che può impegnarlo fino in fondo: l'abbiamo dimostrato in molte occasioni l'anno scorso. La sua abilità? Non sta a me giudicare, non è corretto per un pilota dire ciò che pensa di un collega. Una delle cose che sento dire riguardo a me e lui è che io devo lavorare sul mio stile di guida, che non ho la naturalezza di Ayrton. Beh, io dico questo: se a not piloti non venisse istintivo fare le cose che facciamo, non riusciremmo ad andare veloci». 
- Sei rimasto impressionato dal record di Prost al Ricard?
«No. C'erano quindici gradi in più rispetto a quando aveva girato Patrese. Se non si gira in condizioni di temperatura e di pista identiche, i tempi non significano niente. Per quanto ne so, Prost e la Ligier sono ancora lontani, e infatti quando Alain ha girato assieme a Riccardo era circa un secondo e mezzo piu lento. I tempi che ha fatto dopo vanno bene per dar qualcosa da scrivere a voi giornalisti...».
- Se Prost guiderà effettivamente la Ligier, c'è rischio che la Renault dedichi più attenzione a loro che a voi?
«Il nostro rapporto, di squadra e mio personale, con la Renault è ottimo, e migliora costantemente. Sono lieto di dire che i motori per la Ligier saranno costruiti in un'altra fabbrica, per cui tutt'al più lo sviluppo sarà anche piu rapido».
- E della situazione attuale di Prost che cosa pensi? Se lui e Piquet dovessero effettivamente restare fuori dalla F.1...
«Non posso dire niente di Prost. Ha giocato per un sacco di tempo con tutto il mondo, con la stampa e con i suoi fans. Aspetto di vedere come andranno le cose. Non sta a me neanche atteggiarmi a giudice e fare commenti se un tre volte campione del mondo resta fuori dall elenco degli iscritti. Ogni professionista dovrebbe essere responsabile delle sue azioni; forse arriva per tutti un periodo nel quale bisogna decidere di ritirarsi. Ma non voglio dire che sia il caso di Prost e Piquet adesso. Per quanto mi riguarda, non ci voglio neanche pensare, non mi interessa. Voglio solo pensare a vincere almeno il titolo Costruttori insieme con Riccardo e spero di vincere anche il mondiale piloti. E credetemi, concentrarsi su questo richiede molte, moltissime energie».
- Dopo tanti anni, quanto conta ancora per te il fatto di diventare campione?
«Con ventuno vittorie nei Gp e tre secondi posti nel mondiale, dovrei essere soddisfatto. Ma la mia risposta è che il titolo iridato conta ancora per me come per qualsiasi altro pilota. E se guardate indietro nel tempo, vedrete che io e Senna saremmo stati molto piu vicini l'anno scorso se i regolamenti non fossero cambiati: e sappiamo tutti chi è stato a cambiarli! Chi è che negli ultimi anni ha finito piu gare di tutti?».

Mansell dopo Montreal '91: che rabbia...

 - È possibile che voi, alla Williams, non abbiate lo stesso potere di agire - per così dire - dietro le quinte che hanno alla McLaren?
«Non voglio fare commenti. Ma perché hanno cambiato i regolamenti in modo che fossero valide per il conteggio dei punti tutte e 16 le gare invece di 11? C'era solo una squadra che poteva avvantaggiarsene. So che sono cose da non dire alla leggera, ma non mi importa...».
- Che parte ha avuto la McLaren nella squalifica dell'Estoril l'anno scorso?
«Forse non tutti lo sanno, ma in Portogallo io fui squalifcato solo perché la Fisa ricevette pressioni dalla McLaren dopo che ero rientrato in zona punti. Ecco perché mi permisero di fare venti giri dopo quel famoso cambio gomme, prima di darmi la bandiera nera. Finché ero fuori dai punti, alla McLaren e a nessun altro interessava che fossi in gara. Ma quanto entrai nei primi sei, e si accorsero che avrei potuto concludere sul polio, chiesero ai commissari di squalificarmi. Forse minacciarono una protesta, o qualcosa del genere».
- E cosa accadde, dopo, al briefing del Gp di Barcellona, quando fosti criticato da Senna?
«Credo di averlo messo in agitazione. Ero l'unico in grado di impensierirlo per il titolo e a lui, ovviamente, questo non andava; è umano. Al briefing in Spagna io me ne stavo tranquillo: quello che era successo all'Estoril, tanto, era visibile a tutti nelle registrazioni. Io non accusavo nessuno, e presi le sue osservazioni come un complimento, un segno della sua preoccupazione e se non fosse successo qualcosa in qualcuna delle gare precedenti - Spa, Estoril, appunto, Montréal... - credo che sarebbe stato anche più preoccupato».
- Ma c'erano altri, in quel briefing, che si erano agitati...
«Quello fu in seguito alla squalifica dell'Estoril. Flavio Briatore della Benetton mi stava difendendo perché avevo subìto un'ingiustizia: Alesi aveva commesso la stessa infrazione e non l'avevano squalificato. Perché, chiedevano Briatore ed altri, c'è una regola per la Williams e una per la Ferrari? E da lì è partita la reazione di Senna, e di quelli della Ferrari, e di tutti... Io facevo solo notare, nel modo più educato possibile, che si usavano due pesi e due misure. Non voglio pronunciarmi, ma molti avevano avuto l'impressione che il cambio gomme di Alesi non fosse stato corretto, con tutte le ruote entro la linea bianca della corsia box. E poi, pensate che sia giusto quello che mi è capitato all'Estoril? Non pensate che ci vorrebbe più flessibilità nell'interpretare certe regole? Quando sei fermo sulla corsia box con la vettura su tre ruote, è più pericoloso riportarla ai box e montare una gomma nuova che effettuare l'operazione sul posto. Quando hai già perso 45-50 secondi è un handicap sufficiente. Ed essere squalificato in quel modo, quasi alla fine, fu una delusione terribile. Specie se un concorrente come la Ferrari aveva avuto un simile problema senza ricevere squalifica. Direi che c'è stata una... licenza artistica in quella decisione».


- L'anno scorso avevi previsto che la Williams sarebbe stata superiore su alcuni circuiti. Cosa puoi dire per questa stagione?
«Ah, già, ricordo di aver detto che per il '91 eravamo favoriti a Montréal. Sarà meglio che quest'anno ci stia più attento...». 
- Tornano i brutti ricordi: hai qualcosa da imputare a te stesso per il '91?
«Certo: in Canada feci spegnere il motore all'ultimo giro, e fu davvero un brutto errore; mi viene da piangere a ripensarci. A Spa uno dei meccanici montò un particolare non verificato e avemmo una panne elettrica. Forse anche a Estoril avrei dovuto rendermi conto che stavo uscendo dai box senza il dado della ruota. Voglio prendermi la mia parte di colpa, perché siamo davvero, tutti, parte di una squadra. Ma l'unica vera responsabilità per cui potrei muovermi delle critiche è per aver osato troppo in Giappone. Sapevo di avere un problema al pedale del freno e non mi sono concesso un margine di errore. Ma dopotutto, fino a quel momento era andato tutto bene... E in fondo e stata una stagione molto positiva».
- Sei sempre cosi speranzoso per il '92?
«No. (Una lunga pausa). Ho dei bei ricordi, e altri meno belli, del '91. Quest'anno la McLaren sarà velocissima e affidabile a inizio stagione. Si vede che hanno fiducia in se stessi perché non fanno niente, non dicono niente, non provano insieme agli altri. Hanno delle sorprese in serbo per tutti. Ma ne abbiamo anche noi e la Elf. Le prime tre corse mostreranno la situazione delle forze in campo. Ma penso che il divario tra noi e la McLaren sia stato colmato; non credo che Ayrton possa distanziarci come fece l'anno scorso nei primi quattro Gp».
- I tuoi rapporti con lui sono migliorati. Fino a che punto?
«Penso di essere maturato negli ultimi anni, e abbiamo grande rispetto l'uno dell altro. In Australia parlammo a lungo, prima della gara, della pioggia e del nostro futuro. Leggo molte cose delta rivalità tra noi due, e non sono vere. Ma qualche volta, in un brutto momento, qualcuno viene a dirci "sai, lui ha detto questo e quello di te". E allora è facile commettere l'errore di rispondere: Ah, sì? Se ha detto questo è idiota. Poi questo qualcuno torna da Ayrton a riferire... ed ecco pronta una storia per i giornali».
- Per quanto tempo ancora continuerai a correre?
«Ho già delle offerte per il '93 e il '94 - non voglio dire se si tratta di F.1 o di qualcos'altro - e finché ho chi mi appoggia l'entusiasmo non verrà meno. Il giorno the saprò di non essere più così veloce, o di stare perdendo la motivazione, lo saprete anche voi. Ma non dimenticatevi: mi sono già ritirato una volta, non devo farlo ancora».
- Come mai hai rinunciato a spostarti con il tuo jet personale?
«Oggi trovo più comodo farlo con gli aerei di linea. Con quello privato, che non aveva sufficiente autonomia per traversare l'oceano, perdevo un sacco di tempo per il rifornimento. E poi ho avuto problemi con i piloti: se andavo nel migliore albergo volevano andarci anche loro, se avevo un pass Foca - l'unico - loro me lo chiedevano. Sono fatti cosi questi maledetti piloti».
Mike Doodson


LA GRINTA FUNAMBOLICA DI UN LEONE DA... CIRCUS

Non mollare mai: una frase che riassume il credo agonistico di Nigel Mansell e che giustifica quell'affermazione, a prima vista un po' arrogante, «sono il solo che può arrivare al limite contro Senna». Che cos'è che trasforma, agli occhi del pubblico, un pilota in un «leone», un combattente che non si rassegna mai? Chi segue la F.1 da qualche anno ha ancora impresse nella mente le immagini di un pilota in tuta scura che spinge con la forza della disperazione la sua Lotus-Renault, con il differenziale rotto, verso il traguardo a Dallas '84, fino a cadere stremato dallo sforzo. Ed è solo una delle tante sequenze da brivido di un film, quello di Nigel, che continua tuttora. La sua rimonta dalla sesta fila al Gp d'Ungheria '89, in un circuito proibitivo per i sorpassi, la beffa ai danni di Senna, complice il doppiato Johansson, flno alla vittoria (la seconda di Mansell in Ferrari), fanno ormai parte della storia dei Gp. E ancora: Imola 1990, Nigel scatenato all'inseguimento di Berger tenta il sorpasso in un punto impossibile, a velocità pazzesca, mette due ruote sull'erba, si gira e riesce, in pochi attimi da arresto cardiaco, a rimettersi in pista e a riprendere la sua caccia. Sempre contro l'austriaco, nello stesso anno, compie l'ennesima prodezza nelle battute finali del Gp Messico, agguantando il secondo posto alle spalle del compagno di squadra Prost con un sorpasso all'esterno all'ultima curva che sfida tutte le leggi della fisica. Quella di attaccare in punti considerati impossibili (ricordate i sorpassi ai danni di Prost a Montecarlo e a Magny-Cours nella stagione appena trascorsa?) sembra essere la caratteristica dell'inglese. Uno che quando sbatte sbatte duro, ma che lo fa tutto sommato di rado, nella lotta sul fllo dell'equilibrio che lo ha reso, se non sempre il più efficace, certo il più funambolico pilota del Circus odierno.
(fotografie Orsi)