3 September 2013

I grandi amici di Topolino: Giacinto Facchetti

Published on Topolino No. 1065, 25 April 1976
Pubblicato su Topolino No. 1065, 25 Aprile 1976

I grandi amici di Topolino
Giacinto Facchetti


«Sono nato in una famiglia povera. Mio padre, Felice, faceva il ferroviere. Mia madre, Elvira, lavorava in casa. Eravamo sette in famiglia: papà, mamma, due fratelli e tre sorelle. Da ragazzo, appena avevo un momento di libertà, giocavo al calcio nella squadra dell'oratorio di Treviglio. Avevo sette anni. Solo più tardi, a scuola, cominciai a fare atletica leggera. Era mio padre, in bicicletta, a portarmi sui campi di gioco. Era stato calciatore ai tempi della prima guerra mondiale. Giocava nella squadra del ferrovieri, anche lui come terzino sinistro, Era terribile negli scontri con gli avversari: I'avevano soprannominato "ammazzacristiani". Era inflessibile, intransigente (era lui che mi sceglieva i compagni di gioco), onesto e disciplinato. Se io ho alcune buone qualità, penso proprio di averle ereditate da lui. La mamma mi ha trasmesso invece la generosità.»
Cosi, in maniera semplice e puntuale, Giacinto Facchetti, terzino sinistro dell'Inter e capitano della Nazionale, parla di se stesso, della sua infanzia. Tutta la sua vita è stata praticamente dedicata allo sport. Non soltanto al calcio, ma anche all'atletica leggera, alla pallavolo, alla pallacanestro e al rugby. La sua specializzazlone in atletica erano i 100 metri piani. Ma Facchetti ha corso anche i 400 piani e gli 800; ha fatto salto in alto, in lungo, e staffette veloci.

 Facchetti al raduno collegiale di calcio, svoltosi a Coverciano 
nel giugno '74.

E senz'altro all'atletica leggera coltivata da ragazzo deve lo sviluppo del suo fisico formidabile, di cui ha saputo fare uno strumento agonistico eccezionale. Dopo aver giocato in campionato promozione con la Trevigliese (a Treviglio è nato il 18 luglio 1942), nell'anno '57-'58, Giacinto fu notato dall'Inter, e subito acquistato. In serie A, sempre con l'Inter, ha esordito esattamente il 21 maggio 1961. Da allora, non ha più lasciato la squadra nerazzurra, con la quale ha vinto quattro scudetti, due Coppe dei Campioni, e due Coppe Intercontinentali. Facchetti detiene anche il record delle presenze in Nazionale. Della squadra azzurra è capitano dal 1966. E, ogni volta che viene formata una squadra «mondiale» con la partecipazione dei migliori calciatori, egli non viene mai dimenticato.

Città del Messico, 1970: Facchetti firma un autografo per un tifoso, e, in campo, 
con la fascia di capitano della Nazionale.

Forse, dal punto di vista della popolarità, molti calciatori sono più «seguiti» di lui. Ma questo dipende soprattutto dal fatto che, fuori dei campi di gioco, Facchetti, diversamente da tanti altri, non ha mai fatto parlare di sé. Quello che è certo, in ogni caso, è che nel nostro Giacinto troviamo un atleta completo sotto tutti i punti di vista. In più, attorno a lui gravita la leggenda del «terzino che fa i gol».
Ma come e nato, appunto, questo «personaggio»? Sentiamolo dal diretto interessato. «È nato, forse
senza saperlo, a Treviglio, quando a 10-11 anni facevo il giocatore-allenatore-massaggiatore-presidente-difensore-attaccante del "Rapid" e delle "Schiere Azzurre". Per un giovane di quell'età, io ero il più alto di tutti. In partita cominciavo a giocare come terzino. Poi, quando le cose si mettevano male, andavo all'attacco per fare gol e rimediare allo svantaggio. E in quel periodo, in quei momenti, su quei campi che nacque "il terzino che segna". Ho sempre voluto trovarmi dov'era la palla. Avanti o indietro che fosse, io volevo prendere parte al gioco.»

 Un intervento di Facchetti durante un incontro Inter-Atalanta.
  Il terzino-goleador ha 34 anni.

Sincero, affabile, dotato di una grande sensibilità, Facchetti sa infondere nei compagni di squadra, sia essa l'Inter o la Nazionale, una grande forza convincente e trascinatrice. Perché è il primo lui a credere nella serietà dello sport. Nel 1971, è stato premiato come giocatore esemplare per la sua correttezza. «A farmi così», dice, «sono stati gli anni in cui giocavo all'oratorio. Là si giocava per giocare, non per fare del male all'avversario o per insultarlo. Ancora adesso, quando scendo in campo, io gioco con lo stesso spirito. In questo mio comportamento c'è pero anche l'influenza dell'atletica leggera: uno sport dove, inevitabilmente, vince sempre il più forte. Se in campo il mio avversario è più abile di me, perché ricorrere a sistemi di forza per avere ragione di lui?»
In questo elogio della lealtà c'è tutto il «personaggio» Facchetti. Un personaggio le cui principali caratteristiche sono la gentilezza e la forza: esattamente le qualità simboleggiate dal giacinto, il fiore al quale il nostro valoroso terzino ha «rubato» il nome.    
Nicolò Carosio

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