17 September 2013

I grandi amici di Topolino: Salvatore Accardo

Published on Topolino No. 1103, 16 January 1977
Pubblicato su Topolino No. 1103, 16 Gennaio 1977

I grandi amici di Topolino
Salvatore Accardo


Nella Vita di Paganini, che poco tempo fa abbiamo visto in televisione, vi erano due protagonisti. Uno, l'attore Tino Schirinzi, prestava al grande musicista genovese volto e voce; I'altro, il violinista Salvatore Accardo, il suo strumento e le sue prodigiose esecuzioni.
La scelta di Accardo come protagonista... invisibile dello sceneggiato è stata una scelta obbligata. Il nostro grande amico l'ha imposta, non certo con la forza della sua prestanza fisica, per altro notevole, quanto con quella della sua statura artistica, che lo colloca fra i più grandi interpreti mondiali della musica paganiniana.
Alto, massiccio, gioviale, Salvatore Accardo è, nel temperamento e nel fisico, esattamente l'opposto di quella immagine stereotipa secondo la quale i violinisti dovrebbero essere tutti magri, taciturni, consumati, nella carne e nell'anima, dal sacro fuoco dell'arte.


Nato musicista, come altri nascono avvocati o bottegai, Accardo è figlio di un incisore di corallo di Torre del Greco che, però, aveva la passione del violino. Alla sua attività di incisore alternava, infatti, quella di violinista dilettante.
Il nostro Salvatore respirò quindi, fin dai suoi primissimi anni, aria e violino, mangiò pane e violino, andò a dormire con le coltri addosso e i trilli del violino nelle orecchie. Ma non si contentò della parte di semplice ascoltatore di quelle suonate che costringevano la madre a tapparsi le orecchie per lo strazio (o per l'incompetenza); volle subito essere un protagonista, un esecutore; e appena fu in grado di parlare chiese di poter avere un violino tutto suo. E lo ebbe.
Oggi quel violino, un «sette ottavi», riposa tra i ricordi piu cari di casa Accardo a Torre del Greco, vicino a Napoli. Al suo posto, tra la spalla e la mano sinistra dell'ormai trentacinquenne Salvatore, si alternano oggi due preziosissimi strumenti del '700: uno Stradivari e un Guarnieri del Gesù. Come dire, saltando'alla pittura, un Leonardo e un Mantegna. Tanto preziosi, da non avere neppure prezzo.

Nato a Torre del Greco 35 anni fa, Salvatore Accardo s'è diplomato in violino al 
Conservatorio di San Pietro a Maiella a 15 anni. Appassionato sportivo, appena 
gli impegni glielo permettono, passa dal palcoscenico al campo di calcio. Ha
 fondato una squadra calcistica: «Amici della Musica».

Ma, ritornando al passato, Salvatore Accardo è stato quello che si chiama un fanciullo prodigio. La carriera dei fanciulli prodigio, di solito, non si spinge oltre la soglia dell'adolescenza (con qualche gloriosa eccezione: Mozart, per esempio). La carriera di Accardo ha superato di slancio il limite tradizionale: Salvatore è diventato quindi un ragazzo prodigio ed è, oggi, un uomo prodigio. Se la scala presentasse altri gradini, state pur certi che lui salirebbe anche quelli.
Diplomatosi violinista a soli quindici anni (con almeno un triennio di anticipo sul termine regolare degli studi), al Conservatorio di San Pietro a Maiella a Napoli, Salvatore Accardo strabilia «ufficialmente» da venti anni il mondo della musica, acclamato sia dal pubblico, sia dagli stessi suoi «colleghi». Di uno di questi, il celeberrimo Yehudi Menuhin, si racconta che, dopo averlo ascoltato suonare un Capriccio di Paganini, gli abbia buttato le braccia al collo, come avrebbe fatto con un... Niccolò redivivo.



Amante dello sport oltre che della musica, Accardo è sempre stato un ottimo nuotatore e, fino a qualche tempo fa, anche un ottimo tennista. Ha detto addio alla racchetta, sia pure a malincuore, per non togliere scioltezza al braccio destro, «riservato» principalmente al suo archetto di violinista.
Ma la sua grande passione (e la.., disperazione di sua madre, preoccupata dell'incolumità delle mani del figlio) è sempre stata il calcio. In tutti i suoi spostamenti, non dimentica mai di portarsi dietro, nella custodia del violino, oltre allo strumento, anche una foto della Juve, di cui è sfegatato tifoso, con le firme dei calciatori dedicate personalmente a lui.
Da ragazzo, Accardo giocava nella Turris, la squadra della sua citta natale. Oggi ha fondato invece una squadra tutta «sua», che si chiama Amici della musica, e che in una delle ultime partite ha segnato otto goal. La soddisfazione di Salvatore è stata grande: per lui, ogni rete segnata equivale a un concerto di Paganini eseguito alla perfezione davanti a un pubblico impazzito d'entusiasmo.
Walter Ricci

3 September 2013

I grandi amici di Topolino: Giacinto Facchetti

Published on Topolino No. 1065, 25 April 1976
Pubblicato su Topolino No. 1065, 25 Aprile 1976

I grandi amici di Topolino
Giacinto Facchetti


«Sono nato in una famiglia povera. Mio padre, Felice, faceva il ferroviere. Mia madre, Elvira, lavorava in casa. Eravamo sette in famiglia: papà, mamma, due fratelli e tre sorelle. Da ragazzo, appena avevo un momento di libertà, giocavo al calcio nella squadra dell'oratorio di Treviglio. Avevo sette anni. Solo più tardi, a scuola, cominciai a fare atletica leggera. Era mio padre, in bicicletta, a portarmi sui campi di gioco. Era stato calciatore ai tempi della prima guerra mondiale. Giocava nella squadra del ferrovieri, anche lui come terzino sinistro, Era terribile negli scontri con gli avversari: I'avevano soprannominato "ammazzacristiani". Era inflessibile, intransigente (era lui che mi sceglieva i compagni di gioco), onesto e disciplinato. Se io ho alcune buone qualità, penso proprio di averle ereditate da lui. La mamma mi ha trasmesso invece la generosità.»
Cosi, in maniera semplice e puntuale, Giacinto Facchetti, terzino sinistro dell'Inter e capitano della Nazionale, parla di se stesso, della sua infanzia. Tutta la sua vita è stata praticamente dedicata allo sport. Non soltanto al calcio, ma anche all'atletica leggera, alla pallavolo, alla pallacanestro e al rugby. La sua specializzazlone in atletica erano i 100 metri piani. Ma Facchetti ha corso anche i 400 piani e gli 800; ha fatto salto in alto, in lungo, e staffette veloci.

 Facchetti al raduno collegiale di calcio, svoltosi a Coverciano 
nel giugno '74.

E senz'altro all'atletica leggera coltivata da ragazzo deve lo sviluppo del suo fisico formidabile, di cui ha saputo fare uno strumento agonistico eccezionale. Dopo aver giocato in campionato promozione con la Trevigliese (a Treviglio è nato il 18 luglio 1942), nell'anno '57-'58, Giacinto fu notato dall'Inter, e subito acquistato. In serie A, sempre con l'Inter, ha esordito esattamente il 21 maggio 1961. Da allora, non ha più lasciato la squadra nerazzurra, con la quale ha vinto quattro scudetti, due Coppe dei Campioni, e due Coppe Intercontinentali. Facchetti detiene anche il record delle presenze in Nazionale. Della squadra azzurra è capitano dal 1966. E, ogni volta che viene formata una squadra «mondiale» con la partecipazione dei migliori calciatori, egli non viene mai dimenticato.

Città del Messico, 1970: Facchetti firma un autografo per un tifoso, e, in campo, 
con la fascia di capitano della Nazionale.

Forse, dal punto di vista della popolarità, molti calciatori sono più «seguiti» di lui. Ma questo dipende soprattutto dal fatto che, fuori dei campi di gioco, Facchetti, diversamente da tanti altri, non ha mai fatto parlare di sé. Quello che è certo, in ogni caso, è che nel nostro Giacinto troviamo un atleta completo sotto tutti i punti di vista. In più, attorno a lui gravita la leggenda del «terzino che fa i gol».
Ma come e nato, appunto, questo «personaggio»? Sentiamolo dal diretto interessato. «È nato, forse
senza saperlo, a Treviglio, quando a 10-11 anni facevo il giocatore-allenatore-massaggiatore-presidente-difensore-attaccante del "Rapid" e delle "Schiere Azzurre". Per un giovane di quell'età, io ero il più alto di tutti. In partita cominciavo a giocare come terzino. Poi, quando le cose si mettevano male, andavo all'attacco per fare gol e rimediare allo svantaggio. E in quel periodo, in quei momenti, su quei campi che nacque "il terzino che segna". Ho sempre voluto trovarmi dov'era la palla. Avanti o indietro che fosse, io volevo prendere parte al gioco.»

 Un intervento di Facchetti durante un incontro Inter-Atalanta.
  Il terzino-goleador ha 34 anni.

Sincero, affabile, dotato di una grande sensibilità, Facchetti sa infondere nei compagni di squadra, sia essa l'Inter o la Nazionale, una grande forza convincente e trascinatrice. Perché è il primo lui a credere nella serietà dello sport. Nel 1971, è stato premiato come giocatore esemplare per la sua correttezza. «A farmi così», dice, «sono stati gli anni in cui giocavo all'oratorio. Là si giocava per giocare, non per fare del male all'avversario o per insultarlo. Ancora adesso, quando scendo in campo, io gioco con lo stesso spirito. In questo mio comportamento c'è pero anche l'influenza dell'atletica leggera: uno sport dove, inevitabilmente, vince sempre il più forte. Se in campo il mio avversario è più abile di me, perché ricorrere a sistemi di forza per avere ragione di lui?»
In questo elogio della lealtà c'è tutto il «personaggio» Facchetti. Un personaggio le cui principali caratteristiche sono la gentilezza e la forza: esattamente le qualità simboleggiate dal giacinto, il fiore al quale il nostro valoroso terzino ha «rubato» il nome.    
Nicolò Carosio